Incontriamo il musicista Virginio Aiello, pianista-fisarmonicista-arrangiatore. Diplomato in Pianoforte e Musica Jazz al Conservatorio di Cosenza, ha pubblicato il Metodo Pratico di Pianoforte Jazz Complementare destinato a chi si accinge ad iniziare un percorso di studi di musica jazz…
Ciao Virginio, leggendo di te ho visto che hai una formazione musicale classica, da “Conservatorio”, ma ti ritrovo jazzista e fisarmonicista. Raccontaci del tuo percorso professionale, cominciando dagli studi musicali.
Ho iniziato sin da giovanissimo a studiare musica, dopo che un amico di famiglia, maestro di musica si accorse che avevo l’ orecchio assoluto, così si decise di scegliere la fisarmonica, visto che in casa possedevamo questo strumento. Dopo qualche anno ho sostenuto l’esame per entrare in conservatorio e, dopo dieci anni mi sono diplomato in pianoforte classico. Successivamente ho conseguito il Diploma Triennale in Jazz e il Biennio Specialistico in Composizione Jazz.
Come mai hai deciso di intraprendere lo studio del jazz?
E’ capitato per caso che ascoltassi alla radio un disco di Keith Jarrett, il Koln Concert e rimasi affascinato da quella musica, anche se non avevo la minima idea di come si affrontasse lo studio del jazz, le sue regole, il linguaggio. Ero rapito soprattutto dal senso ritmico che trasmetteva quella musica e soprattutto mi affascinava l’ improvvisazione come concetto di composizione estemporanea. Successivamente ho iniziato a comprare i primi dischi dei pianisti del primo periodo del jazz, il cosiddetto jazz classico e mi innamorai di Fats Waller, Earl Hines, Duke Ellington, Art Tatum.
E la musica classica? L’hai abbandonata o continui a insegnare e a suonare?
La musica classica continuo ad ascoltarla ed insegnarla ai miei alunni delle Scuole Secondarie di Primo Grado, dove sono docente di ruolo. Il jazz invece rappresenta ormai la mia vita professionale nei diversi contesti concertistici e anche didattici, visto che insegno Pianoforte Jazz Complementare al Conservatorio di Cosenza.
Suonare il pianoforte in un brano classico… magari in una sonata di Beethoven e suonarlo in un contesto jazz, c’è tanta differenza?
Ci sono delle sostanziali differenze, ma le basi tecniche sullo strumento sono simili. Lo studio del pianoforte classico ti offre l’opportunità di conoscenza, di rapporto con la bellezza dei capolavori della musica. Conoscere, interpretare, approfondire Bach, Beethoven, Chopin o Liszt è per un pianista un’opportunità di confronto con la creatività dei grandi compositori. Nel jazz vi sono altri parametri, quali l’affinamento continuo dell´orecchio, la capacità di essere percettivi quando si suona in gruppo, la conoscenza approfondita dell’ armonia e del linguaggio, la capacità di ascolto e analisi.
Partendo dal presupposto che essere pianisti classici è un valore aggiunto pensi che nell’approccio alla musica jazz potrebbero sorgere delle problematiche? Se si, quali sono quelle più comuni?
La problematica maggiore è nel liberarsi dalla schiavitù dello spartito, ma in senso lato nel liberarsi a fare musica. La capacità di fare musica risiede nel proprio corpo, nella capacità di sentire, di incanalare le proprie emozioni verso un atto creativo. A volte si è così coinvolti a leggere la partitura, che viene meno la capacità di ascoltarsi, con una conseguente riduzione delle capacità analitiche del proprio orecchio. Altri aspetti che non vengono presi in considerazione in una didattica classica sono lo studio della teoria degli accordi, delle scale e dell’armonia per poterle usare al fine di liberare risorse cognitive ad uso dell’improvvisazione e dell’armonizzazione. Il concetto del ritmo poi riveste un ruolo fondamentale, attraverso lo studio della pronuncia swing tipica del jazz.
Secondo te si può parlare di tecnica jazz? Se si, in che cosa consiste?
Avere swing, fraseggio. Saper sviluppare le proprie idee in ambito improvvisativo. Il ruolo del pianoforte nel jazz è complesso. A volte svolge una funzione ritmico-armonica di accompagnamento, ma nel contempo può essere un solista in cui si suonano linee melodiche al pari di un sax o una tromba. Spesso è il contesto musicale che richiede differenti approcci allo strumento attraverso tecniche specifiche.
Un pianista jazz che suona da solo e un pianista jazz che suona in un gruppo… ha lo stesso stile pianistico? Quali sono le problematiche che potrebbe incontrare sia l’uno che l’altro…
Nel piano solo si riscontrano problematiche relative alla capacità di sviluppare un brano curando tutti gli aspetti armonico, ritmici, improvvisativi, timbrici che in gruppo vengono in parte supportati dagli altri strumenti. Di contro suonare in gruppo significa sviluppare altre capacità fondamentali, quali l’importanza della pulsazione, il ruolo del solista, l’interplay, la rotazione dei ruoli, le dinamiche, la leadership nel gruppo, l’improvvisazione, suonare free suonando con gli altri, comunicare e farsi capire dagli altri musicisti.
Secondo la tua esperienza, per imparare i rudimenti dell’improvvisazione da dove si può cominciare?
Mi verrebbe da dire che per imparare ad improvvisare bisogna improvvisare. Il primo input creativo di una musica è sempre improvvisativo. Improvvisando si inventano materiali che si mettono insieme cercando di dargli forma. L´improvvisazione è sicuramente una forma di composizione in tempo reale in cui si cerca di trovare il giusto equilibrio tra rigore e fantasia. Per imparare l’ improvvisazione si può partire da parametri semplici quali il suono, il timbro, i silenzi, imparare ad ascoltarsi ed essere consapevoli di ciò che si suona. Poi si può procedere con le prime variazioni tematiche su una melodia oppure usando un approccio modale, ad esempio giocare con i suoni di una sola scala. Successivamente si può affrontare l’improvvisazione sugli accordi e le relative scale. Credo che la teoria sia fare per imparare.
Tu hai scritto un Metodo Pratico di Pianoforte Jazz Complementare a chi si rivolge e cos’ha di diverso dagli altri metodi di pianoforte?
Tale volume è principalmente dedicato agli allievi dei corsi pre-accademici dei conservatori e a coloro che frequentano i trienni di primo livello ad indirizzo jazz con lo scopo di fornire un sostanziale bagaglio tecnico sullo strumento, nonché ai licei musicali e alle scuole secondarie di primo grado ad indirizzo musicale, che vogliano cogliere l’opportunità di utilizzare un testo di facile comprensione inerente la nomenclatura jazzistica. Il presente metodo è finalizzato a proporre agli studenti una formazione ben strutturata ed organizzata per livelli di difficoltà al fine di conferire adeguate competenze tecnico-teoriche per l’ingresso ai corsi di Alta Formazione Artistica e Musicale.
Chiudiamo infine con un consiglio a tutti i giovani che si avvicinano allo studio del pianoforte o comunque di uno strumento musicale…
A chi decide di studiare uno strumento dico che la musica è un’esperienza umana straordinaria e che, come ogni altra attività artistica, va vissuta con onestà. Il consiglio è di studiare con passione, intensità, curiosità, attenzione, impegno, tenacia.
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