Patrizia Angeloni nell’anno del 250 Anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven ha pubblicato il disco Accordion for Beethoven per Ars Spoletium con una selezione di composizioni del musicista tedesco trascritte per fisarmonica
Patrizia Angeloni, grazie di essere qui con noi di Blog della Musica. Può in poche righe raccontarci qualcosa di lei?
Grazie a voi per l’ospitalità! Raccolto il testimone dai miei Maestri (Salvatore di Gesualdo e Hugo Noth, artefici della prima individuazione della identità artistica del mio strumento) sono da sempre impegnata nella diffusione della fisarmonica da concerto, con formazione ed attività in ambiti diversi, che hanno visto la attività artistico – professionale in ambito concertistico affiancata da una intensa attività intorno allo sviluppo della letteratura originale e di trascrizione, con attenzione alla ricerca musicologica ed un costante impegno in ambito didattico. Sono titolare della cattedra di Fisarmonica al Conservatorio “O. Respighi” di Latina e collaboro con alcune istituzioni ed università europee.
Beethoven, indiscutibilmente, è uno dei grandi geni della musica, una delle personalità musicali più forti della storia. Tutti hanno conosciuto quantomeno il suono della sua orchestra, la potenza ed espressività delle sue sonate. Come nasce questo progetto che vede protagonista uno strumento così versatile quanto, ahimé, a volte misconosciuto in un contesto così importante per non dire ingombrante misurandosi con la forza di questo gigante?
Questo progetto ha inteso offrire a Beethoven l’originalità sonora della fisarmonica da concerto (versione moderna dell’Akkordeon, brevettato proprio a Vienna due anni dopo la scomparsa di Beethoven) che solo negli ultimi decenni del Novecento ha maturato, accanto ad una notevole complessità tecnico-fonica, una identità musicale tale da renderla protagonista di differenti riscritture, a partire dalla musica antica.
La fisarmonica è uno strumento a tastiera, ad ancia, polifonico, dal suono tenuto con variabilità dinamica immediata: quindi una sorta di organo ad espressione variabile, senz’altro uno strumento sintesi delle modalità espressive di fiati, archi e tastiere, dotato di inedite potenzialità sempre più rivelate sia dalla trascrizione d’autore che dalla musica originale contemporanea. Ecco allora un nuovo mezzo sonoro reso disponibile alla musica di Beethoven come omaggio alla sua attenzione alla musica strumentale e alla cura della orchestrazione, oltre che alla sua rivoluzionaria forza creatrice.
Accordion for Beethoven è realizzato a più mani: al mio lavoro di progettazione musicale e di interprete si aggiunge l’importante contributo di Ivano Battiston, Ivano Paterno ed Umberto Turchi nel doppio ruolo di trascrittori ed interpreti, con la preziosa presenza del flauto di Roberto Fabbriciani e della voce del soprano Liana Maeran.
Quali sono state le difficoltà, compromessi o restrizioni che si sono dovute prendere in considerazione per coniugare e trascrivere il linguaggio beethoveniano per poterlo adattare al meglio al linguaggio idiomatico della fisarmonica da concerto?
In realtà è stata la fisarmonica da concerto ad adattarsi al linguaggio beethoveniano. La trascrizione non è intesa qui come un copiare alla lettera o un costringere la scrittura originale alle esigenze del nuovo mezzo. Al contrario, la fisarmonica traduce ciò che sembra essere implicito e diversamente espresso nel mezzo originale, sempre nel totale rispetto dei contenuti musicali. Nella scrittura beethoveniana la materia e la idea musicale sono strettamente connotate dalla identità strumentale, difficilmente da esse inscindibili. Allo stesso tempo, talvolta la scrittura originale può portare in sé, in sintesi, espressioni strumentali diverse. Qui la fisarmonica si presta a cogliere tali altre identità, riforgiando ad hoc la propria doppia natura di organo portativo e di ensemble strumentale in sintesi. Questa operazione di trascrizione ha inizio già dalla selezione del repertorio da trascrivere. Non una scelta casuale o di gusto personale, ma l’individuazione delle opere che meglio possono accogliere il contributo della fisarmonica, quindi di una scrittura che suggerisca la possibile traduzione di un’ altra presenza strumentale intrisecamente compresa, quasi allo stato embrionale, nello strumento originale. Accanto ad alcune delle opere originariamente destinate al pianoforte (anche con la voce e con il flauto) e agli strumenti ad arco, in questo progetto figurano i Fünf Stücke für Flötenuhr WoO33. I primi due risultano dalle fonti privi di destinazione strumentale e vengono accorpati dalla critica agli altri tre, destinandoli all’organo, inteso come strumento più vicino alla sonorità del flötenuhr. La fisarmonica da concerto, nella veste di vero e proprio discendente moderno dell’organo portativo (e dunque, in senso lato, dell’organo meccanico), si presta in maniera particolare a raccogliere l’eredità musicale dello strumento originale e allo stesso tempo a cogliere nella scrittura l’idea di “musica pura” implicitamente permeata dalla presenza di un ensemble strumentale qui espressa da due fisarmoniche, offrendo soluzioni espressive difficilmente individuabili in altri strumenti.
Come vengono trasportati sullo strumento i contrasti tipici del linguaggio preromantico di Beethoven sia a livello dinamico che coloristico e timbrico?
La plasticità sonora della fisarmonica da concerto, insieme alla sua estrema sensibilità al gesto dell’esecutore che svolge un ruolo determinante nella creazione del suono, permettono grande immediatezza e duttilità espressiva. Allo stesso tempo la scrittura fisarmonicistica interviene in modo proprio, in dimensioni differenti. In generale va considerato che lo strumento a mantice si esprime al meglio nel privilegiare i molteplici sviluppi del suono tenuto e nella sua articolazione differenziata nelle trame polifoniche così come nelle espressioni ritmiche.
Nei pezzi per organo meccanico (per i quali il trascrittore Umberto Turchi ha scelto il principio della massima aderenza alle fonti originali, siano esse di tipo catalografico che di tipo più strettamente musicale) l’utilizzo del suono tenuto permette alcune soluzioni di scrittura particolarmente efficaci ad arricchire la sonorità dei brani; le varie parti vengono distribuite sulle quattro tastiere delle due fisarmoniche, per poter garantire l’indipendenza espressiva di tutte le voci e lasciando alla gestione delle articolazioni e del mantice la realizzazione strumentale della sostanza interpretativa.
Nelle trascrizioni curate da Ivano Battiston, si evidenzia un lavoro volto alla amalgama della fisarmonica con la voce e con il flauto; un ripensare la presenza del suono tenuto e la distribuzione delle parti in termini sonori di ispirazione polistrumentale; bellows shake e ricochet, tecniche del mantice caratteristiche della fisarmonica, hanno sostituito talora una scrittura pianistica molto tratteggiata; l’impiego dei registri della fisarmonica (traspositori di altezze e agglomeratori di masse sonore) ha consentito una adeguata dinamizzazione del suono tenuto.
Nei piccoli pezzi selezionati dalle opere WoO13, WoO11 e WoO31 trascritti dal Battiston ed eseguiti dal Paterno, la sonorità del pianoforte aveva in realtà già tradotto ed addolcito la natura popolare delle danze (spesso in origine destinate agli archi); nella versione per fisarmonica da concerto si recupera l’anima popolare dello strumento a mantice, restituendo i contenuti musicali originari attraverso un suono però trattato con l’eleganza e la competenza dovute alla scrittura beethoveniana.
Trascrivere, adattare, proporre in chiave diversa delle opere scritte per un altro organico musicale, è sempre una sfida musicale che proietta il nostro orecchio verso nuove direzioni. Come consiglieresti di ascoltare questo disco a livello percettivo per poterlo al meglio comprendere e vivere musicalmente?
La fisarmonica da concerto, in quanto mezzo sonoro nuovo alla storia della musica, lancia in tutto il suo repertorio una sfida importante alla percezione umana, sempre in qualche modo condizionata sia da fattori personali che culturali, e sempre esigente nel confrontare il nuovo con quanto già conosce. Suggerirei innanzi tutto un ascolto curioso ed aperto, più sensoriale e in qualche modo “poetico” piuttosto che intellettuale, quanto più possibile privo di aspettative e pregiudizi, in cui siano i contenuti musicali a trainare l’attenzione alla identità strumentale. Nell’ascolto chiederei di privilegiare il gusto delle metamorfosi del suono nei sui aspetti dinamici e timbrici, negli intrecci polifonici, nella amalgama delle risonanze e in quella sua vitalità tutta “personale”. Si può inoltre curiosare nel suono alla ricerca di un organo dinamico o di un grande strumento a fiato (o ad arco) ma polifonico, o ancora di un ensemble polistrumentale inedito.
Nell’immaginario collettivo la fisarmonica è uno strumento indissolubilmente legato alla tradizione nazional Popolare Italiana. Ma è anche uno strumento quanto mai moderno, da scoprire e apprezzare dal Tango, alla musica colta, dal Jazz, alla musica contemporanea. Quali dovrebbero essere secondo te quei passi che un ascoltatore dovrebbe compiere per poter conoscere lo strumento in modo più completo apprezzando la sua straordinaria versatilità e potenza espressiva?
Molte, tra le molteplici dimensioni linguistiche e sonore della famiglia delle fisarmoniche, sono già familiari all’immaginario collettivo del pubblico non specializzato. L’identità musicale della fisarmonica da concerto deve invece ancora arrivare in tutte le sue sfaccettature al grande pubblico e forse anche ad alcuni musicisti: in realtà la ricerca di interpreti e compositori continua ad esplorare potenzialità che già da lungo tempo hanno conquistato a pieno titolo un proprio ruolo nella storia della musica contemporanea. Così inviterei ad ascoltare la fisarmonica nella sua letteratura originale e di trascrizione, in veste solistica e in sinergia con altre sonorità strumentali, nei più differenti organici. La lista degli autori e degli interpreti sarebbe qui lunghissima e senza voler svalutare il prezioso lavoro dei concertisti qui non citati, mi limiterei ad indicare: tra i Maestri dei Maestri, Salvatore di Gesualdo e Hugo Noth; tra le successive generazioni, in rigoroso ordine alfabetico, Inaki Alberdi, Teodoro Anzellotti, Ivano Battiston, Stefan Hussong, Vincent Lhermet, Hans Maier, Fanny Vicens.
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