Linda Scott e Alan Bradshaw: Revolution: rock, protesta e pubblicità | RECENSIONE

Esce in italiano per LUISS University Press Revolution – Storia di una canzone dei Beatles dalla protesta alla pubblicità, di Linda Scott e Alan Bradshaw. Una riflessione sulla distinzione tra arte e commercio in ambito rock

Revolution - Storia di una canzone dei Beatles copertina del libro

Revolution – Storia di una canzone dei Beatles

Il 30 maggio 1968 i Beatles entrano in studio per registrare Revolution, prima traccia del White Album. Poche ore prima, dall’altra parte della Manica, il presidente De Gaulle scioglieva l’Assemblea Nazionale, dando avvio alla fase pienamente politica del maggio francese.

Se Lennon e compagni avevano cercato la Risposta dal Maharishi Yogi, in molti, all’alba della nuova rivolta, attendono la voce dei Beatles, fino a quel punto essi stessi guru di una generazione che adesso volge il proprio sguardo alla rivoluzione culturale promessa da Mao. Per molti, Revolution non sarà la risposta auspicata.

Dal “Nothing’s gonna change my world” di Across The Universe, Lennon passa al “We all want to change the world” che lo pone sì dalla parte del cambiamento, ma puntualizzando e dibattendone le proposte più radicali: in particolare il discorso sulla “distruzione”, — nocciolo della questione per la New Left — e quello sul maoismo, la cui condanna verrà poi ritratta dallo stesso Lennon pochi mesi dopo. Nella prima versione di Revolution – che sarà in realtà la seconda a essere pubblicata – John è ancora incerto: “You can count me out…in”. Nell’incisione per il singolo la risposta è netta: “Count me out”. Il fatto che nel video Lennon ritorni sui suoi passi, ribadendo il “Count me out/in”, aggiunge se possibile ulteriore vaghezza al momento decisivo del suo statement politico.

Revolution – Storia di una canzone dei Beatles: il suono della rivoluzione

Ancor più cariche di senso le differenze musicali tra le versioni. Revolution 1 è il sermone scritto dall’alto dell’Himalaya, da dove gli echi della rivolta sono più difficili da percepire: più che un j’accuse, una satira moralizzante nello stile predicativo del Maharishi. La chitarra acustica pervade lo spettro sonoro e la voce di Lennon, che canta disteso sulla schiena, rimprovera i militanti con tono benevolente. Ma nella chitarra elettrica in secondo piano si avverte già il brusio della rivoluzione in lontananza, che si fa fragore nella versione più celebre.

Il testo non è cambiato, ma è cambiato l’approccio: più che parlare della rivoluzione questa musica ne distilla il suono.

Originari della working class, i Beatles erano stati fino a quel punto simboli positivi per la sinistra britannica; tuttavia le loro prese di posizione nel biennio 1966-’68, benché radicalmente pacifiste, avevano iniziato a mostrare caratteri conservatori.

Per la New Left i Beatles del ‘68 indugiano nella nostalgia e nel capriccio, entrambi tradizioni della classe media. Sull’altro piatto della bilancia, i Rolling Stones vengono incoronati – temporaneamente – ambasciatori musicali dello spirito rivoluzionario benché siano proprio Jagger & co. a provenire dalla tanto osteggiata middle class.

Nel suo attacco contro la canzone, bollata come una scaltra propaganda a favore dell’establishment, Black Dwarf – organo della sinistra radicale – accusa i Beatles di agire esclusivamente a difesa dei loro investimenti capitalisti confluiti nella neonata Apple, pur annunciata da McCartney come modello di «comunismo occidentale».

Altrettanto aspre le condanne da parte dei musicisti militanti. Nina Simone incide una sua Revolution di risposta, confutando le tesi di John dal suo punto di vista di artista radicale, intimamente coinvolta nella lotta ispirata agli esempi di Martin Luther King, Malcolm X e del Black Power. Lo stesso Lennon dichiarerà nel 1971 di essere stato colpito dalla sua reazione, quasi lusingato che le sue prese di posizione fossero ritenute degne di una tale risposta.

Working class hero

Le posizioni di Lennon sulle modalità di attuazione del cambiamento politico cambieranno più volte durante i pochi anni che gli restano da vivere. Alla fase maoista di inizio anni Settanta, che lo porterà nel mirino della CIA, seguiranno altri ritorni sui propri passi: nella celebre ultima intervista a Rolling Stone, tornando su Revolution, John confermerà la visione dell’epoca: «Non contate su di me per la violenza. Non aspettate di vedermi sulle barricate, se non con dei fiori».

Sarà comunque onorato quando il movimento adotterà la sua Give Peace A Chance come inno, e continuerà per alcuni anni a voler scrivere canzoni di protesta, quali Power To The People e Working Class Hero: nel comunismo occidentale che anche John immagina possibile, abolito il culto della personalità, metastasi di tante rivoluzioni, la classe lavoratrice dovrà elevare a totem la sua stessa immagine.

Advertising revolution

Revolution resterà tra i successi più noti di quel 1968. A mano a mano che l’eco di quel dibattito si affievolirà, in pochi ne ricorderanno il messaggio anti-rivoluzionario, finché nel 1987 il brano finirà in uno spot pubblicitario della Nike.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto a essere al centro dell’acuto libro di Linda Scott e Alan Bradshaw, Advertising Revolution: The Story of a Song, from Beatles Hit to Nike Slogan, ora tradotto in italiano con Revolution – Storia di una canzone dei Beatles dalla protesta alla pubblicità (LUISS University Press).

Il libro è una piccola riflessione sulla cultura pop, sul capitalismo, sui diversi linguaggi e piani di significato che sono in azione quando usufruiamo di un prodotto culturale o siamo chiamati in causa da un messaggio pubblicitario, e da come tutto ciò sia influenzato dal tempo, dal luogo, dalle nostre convinzioni o credenze e dalle intenzioni nostre e di chi crea il contenuto.

Una riflessione sulla distinzione tra arte e commercio, spesso assolutamente soggettiva, Revolution è scritto con il rigore degli studiosi e la passione dei fan della più celebre band di tutti i tempi. Soprattutto ci fa riconsiderare le visioni antitetiche e semplicistiche in base alle quali l’artista viene interpretato come personaggio integerrimo e disinteressato, cui si opporrebbero i pubblicitari avidi e opportunisti. Al di là del mito, per leggere tanto la musica quanto la pubblicità come complesse questioni di politica culturale.

Revolution – Storia di una canzone dei Beatles
dalla protesta alla pubblicità

Editore: ‎ LUISS University Press (16 novembre 2020)
Lingua: ‎ Italiano
Dimensioni file: ‎ 716 KB
Da testo a voce: ‎ Abilitato
Miglioramenti tipografici: ‎ Abilitato
Word Wise: ‎ Non abilitato
Lunghezza stampa: ‎ 84 pagine

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