La band umbra Il Ripostiglio delle Scope ha pubblicato il disco Oltre i sogni lungo il confine, un album che “ti fa venir voglia di assistere ad un loro concerto”. Ecco la recensione
Ritorna il mondo folk de Il Ripostiglio delle Scope, col nuovo album Oltre i sogni lungo il confine, dove tra i credits si contano ben 16 nomi. Tra fisarmonica, cajon, bouzouki, chitarra battente, mandolino, violino e tanti altri suoni popolari, la band riconferma il proprio tratto distintivo umbro, con molte canzoni in dialetto. Se ascoltando le canzoni avvertite un sentore di Modena City Ramblers, non è solo per il richiamo di stile, ma perché tra i nomi compare anche Francesco Moneti, cofondatore della storica band.
I testi, a volte leggermente stereotipati, a volte invece archetipici, richiamano temi popolari e l’approccio folkloristico da sagra paesana, come il brano d’apertura I musicanti, che evoca un corposo incontro multietnico, con una sterminata serie di nazionalità: “Stanno arrivando i musicanti, stanno arrivando tutti quanti. Sono tantissimi: senegalese, giamaicano, argentino, magiaro, filippino, italiano, americano, iracheno, cinese, russo, australiano”. E infine l’invito a chi ascolta di unirsi a loro, “per fare di mille suoni un suono solo”. Dopo questo sognante brano – manifesto, si passa alla rabbia e alla disillusione con Gli ultimi bastardi. Qui Stefano asserisce che “la rivoluzione è una parola dell’eterno, noi abbiamo già staccato biglietto per l’inferno. Fate in fretta amici, prima che arrivi il peggio, perché giù all’inferno è finito anche il parcheggio”.
Ma una volta stabilita questa compresenza di sogni e realismo, si entra nella peculiarità dell’album Oltre i sogni lungo il confine: i brani in dialetto. Tocca ferru entra nelle superstizioni popolari come sul gatto nero e sul piede sinistro, mentre Ventu è dedicata al vento, come entità non controllabile, che “sfascia lu munnu e che dopo piano piano lu ricrea”. Nonostante La noche de los lapices abbia il titolo in spagnolo, la canzone è cantata in italiano. E Raffaella canta metaforicamente, che “non può scrivere una matita che non ha più una punta”.
Lu capo co l’occhi richiama l’archetipo del babau, dell’uomo nero, Sandman, ogni zona ha il suo mostro che spaventa i bambini. E qui è lu capo co l’occhi “che ce vuole magnà, sta buono figlio mio, così ce lassa sta’”. Anche se poi, crescendo, Giacomini racconta al figlio che non è di questa figura che deve avere paura: “Se ti trovi a sicco, non devi fa lu piru, che a magnà per nui ce sta lu guvernu ladru”.
Tra casa e la luna lascia stare il governo ladro e ci mantiene sulle coordinate delle “favole addormentate”, e il violino suggella la tenerezza del brano. Ancora Il Ripostiglio vuole sognare, e disegnare, con La via per Damasco: “E ridateli a me quei colori a pastello, ridateli a me, ci disegno un castello, per rinchiudere tutte le cose più belle, i campi, i fiori, e tutte le stelle, e lascio fuori tutte le ombre, i cattivi, gli spari, i fucili e le bombe”. Mentre Nanà invece incarna la figura della donna libera: “Puoi rubarmi il profumo, tu puoi rubarmi il sapore ma Nanà non è di nessuno”. Il brano termina con un bellissimo unisono di violino e fisarmonica.
Il simil country È una musica invece, è una ripetizione ossessiva dell’anafora “è una musica”, che resiste, che avanza, che fa un sacco di cose; forse dal vivo è coinvolgente e invita alla danza collettiva, ma all’ascolto in studio diventa infinita. Un godibile tappeto di percussioni invece, arricchisce il centro “Haummaje”, che sostiene auspici cantati, (che i cervelli servano a pensare, le bocche non per sparlare, che le mani tornino alla terra). Molto trascinante la scatenata fisarmonica de “La rosa sulla neve”, un ritmo piratesco che vien da urlare “HEY”!
La chitarra acustica e l’hammond aprono una parentesi blues rock con Più bella, sempre cantato in umbro. Ed infine il disco Oltre i sogni lungo il confine si chiude festosamente, con La taranta de lu brigante, che “spara a li cristiani e nun se pente”. Brigante in stile Robin Hood, contro li padruni che “sputeranno sangue su questi campi”, perché non sopporta chi “s’arricca su l’omo fessu”. Il Ripostiglio delle Scope ci saluta così, con questo ritornello da filastrocca: “Giru girutundu su sta quercia, la mia vita s’allunga e nun s’accurcia”.
Se l’idea di suonare dal vivo con frequenza normale si allontana a più riprese, si acuisce ancora di più la voglia di assistere ad un loro concerto.
Ascolta il disco Oltre i sogni lungo il confine de Il Ripostiglio delle Scope su Spotify
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