INTERVISTA | Rocket House: una musica energica che vola nello spazio

Rocket House è un collettivo fondato dagli italiani Francesco Staccioli e Riccardo Gresino che unisce musicisti provenienti da tutto il mondo (US, Ghana, Indonesia), attualmente stabilito a Los Angeles. Da poco è uscito il primo lavoro discografico, un self-title album. Abbiamo incontrato Francesco e Riccardo per una saperne di più. Ecco cosa ci hanno raccontato in questa intervista

Accogliamo i Rocket House su Blog della Musica. Ciao e benvenuti. Qualche parola su di voi per presentarvi ai nostri lettori?

Ciao, siamo Francesco e Riccardo, musicisti italiani che vivono a Los Angeles. Grazie per lo spazio, ci fa molto piacere poter presentare il nostro progetto Rocket House.

Rocket House si presenta come un collettivo di musicisti internazionali con due punti fissi: Francesco Staccioli e Riccardo Gresino. Partiamo da voi due che siete i fondatori e promotori del Collettivo. Come vi siete conosciuti e come è nata la vostra collaborazione?

Ci siamo conosciuti durante Umbria Jazz 2017, dove entrambi abbiamo vinto una borsa di studio per Berklee College of Music. Ci siamo trasferiti a Boston nel 2018 e abbiamo dato vita al progetto. Il tutto è partito durante la preparazione di un concerto a Boston che ci vedeva protagonisti. Abbiamo deciso di proporre alcuni brani originali e grazie all’immediata risposta del pubblico abbiamo deciso perseguire questa strada e creare il gruppo.

Contaminazioni e ispirazioni. Staccioli e Gresino ascoltano molto la musica di….?

Abbiamo gusti musicali molto simili, ma non uguali. Francesco apporta la parte più funky con gruppi quali Snarky Puppy e Lettuce, Riccardo miscela armonie provenienti da artisti come Robert Glasper e Alfa Mist. Entrambi abbiamo un grosso background Jazz, Funk e R’n’B, e la nostra priorità è sempre valorizzare la melodia.

Invece mi incuriosisce sapere come è nata l’idea di trasformare un duo in un collettivo e come avete conosciuto e coinvolto i musicisti che vi fanno parte…

Rocket House, il Collettivo
Rocket House, il Collettivo

Provenendo da un ambiente Jazz ci piace molto la libertà di interazione fra i musicisti, e nelle nostre composizioni lasciamo sempre un margine di interpretazione che va costruita e consolidata sia in sala prove che spendendo tempo insieme. Da qui nasce l’idea di collective, seppur le composizioni provengano sempre da noi due.

Non a caso abbiamo scelto “Rocket House” come nome del progetto e del nostro debut album. La parola casa è perfetta nel descrivere il rapporto che abbiamo con i musicisti e allo stesso tempo con il pubblico, durante le nostre performance.

In un gruppo avere molti musicisti che vi ruotano intorno è un valore aggiunto o cambiare spesso può dare un po’ di instabilità a livello di affiatamento?

Sicuramente non è semplice gestire un grosso ensemble di musicisti professionisti ma allo stesso tempo questa “famiglia” ha molti membri. Riscontriamo che in ogni situazione riusciamo sempre a mantenere il nostro sound e questo ci da conferma che il processo di composizione ed arrangiamento dei brani è solido e ben strutturato. Tendiamo invece a vedere il lato positivo di avere un large ensemble: i musicisti provengono da tutto il mondo e ognuno di loro apporta influenze e ci permette di essere aperti mentalmente.

Per dare un’idea nell’album sono presenti musicisti provenienti da Ghana, Indonesia, Colombia, Cile, USA, Polonia, Spagna, Hong Kong.

Avete pubblicato proprio in questi giorni il vostro primo disco: Rocket House, un titolo omonimo o, come lo avete definito voi un self titled album. Come è nata l’idea di questo album?

Abbiamo deciso di mantenere lo stesso nome del progetto perché racchiude il significato più profondo di quello che facciamo e siamo. Come precedentemente menzionato la parola casa simboleggia il collettivo e il rapporto che abbiamo con il pubblico. Per quanto riguarda Rocket, ci piace lo spazio e quello che rappresenta in termine di andare oltre i limiti, scoprire nuove possibilità e avventure, sempre in modo energico e scattante, come un razzo.

Come vi siete organizzati per le sessioni di registrazione?

Abbiamo sfruttato al massimo le risorse di Berklee College, registrando tutte le tracce a “Shames Family Scoring Stage” studio, una delle più grandi sale di registrazione d’America. Tutto è stato registrato live per cercare di mantenere il più possibile lo spirito della performance. Al tempo delle registrazioni eravamo ancora studenti al college, di conseguenza tutte le session sono avvenute tra mezzanotte e le sei di mattina, con tanto caffè per stare svegli, e con il pensiero di dover andare in classe al mattino dopo.

Leggendo i credits del disco vedo che vi ha partecipato Leonardo Bertinelli che ha seguito la fase di mastering. Come e dove vi siete incontrati? E come è stato lavorare insieme?

Abbiamo conosciuto Leonardo a Berklee e sin da subito ha iniziato a lavorare con noi come recording engineer per alcune tracce dell’album. Nel 2020 lui si è spostato a Los Angeles, fondando “Bertinelli Sound” insieme a Gaia Leone. Un anno dopo lo abbiamo raggiunto anche noi ed abbiamo potuto così lavorare al master nel suo studio. Siamo onorati della sua presenza, anche perché è un rinomato ingegnere del suono di Igloo Music Studios, e lavora per grandi produzioni come Netflix e Marvel Movies.

Se potessi ascoltare un unico brano del vostro primo disco, quale dovrei ascoltare? Perché?

Ovviamente, per noi ogni traccia ha la sua storia con tanti ricordi annessi. Situazioni di vita comune con il collective, amicizie prima e dopo la pandemia, distanze, incertezze e curiosità sul futuro sono le prime cose che ci arrivano alla mente. Forse proprio per questo, se dobbiamo scegliere, diremmo “New Habit”.  Questo brano ha trovato nuova forma dopo la pandemia, nonostante fosse parte del repertorio sin dall’inizio del progetto. Una finestra sul futuro di Rocket House sia come composizione che sonorità.

E le sonorità musicali invece? Come si raggiungere un suono in cui si percepisce una amalgama di fondo e che nell’insieme risulta così fresco, frizzante e coinvolgente?

Il processo di composizione e arrangiamento è sempre molto dettagliato e niente viene lasciato al caso. Da qui ne risulta un prodotto essenziale che arriva in maniera diretta e sincera all’ascoltatore. Il tratto distintivo del progetto è quello di lasciare all’ascoltatore una sensazione di allegria e coinvolgimento, colonna sonora di una semplice quotidianità.

Per quanto riguarda le tracce nel album, non possiamo non menzionare Rodrigo Martins, produttore e ingegnere di Rio de Janeiro, Grammy nominated e disco di Platino in Brasile. Il suo prezioso lavoro, in fase di mixing, ha apportato un ulteriore ventata di freschezza.

Ultima domanda prima di lasciarci, quali progetti avete in serbo per i prossimi mesi? Bolle qualcosa di speciale in pentola?

La promotion dell’album ci vedrà impegnati Live a Los Angeles e stiamo lavorando ad alcune date nella East Coast, sempre con il sogno di poterci esibire presto in Italia, e tornare da artisti sul palco di Umbria Jazz.

L’album è disponibile su tutte le piattaforme digitali ed in versione fisica come custom USB a forma di razzo!

Grazie di essere stati nostri ospiti su Blog della Musica.

Grazie a voi dell’intervista e speriamo di vederci presto!

Ascolta Rocket House su Spotify

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