Claudio Sottocornola, il filosofo del pop, ha presentato il suo nuovo e avvincente libro edito da Marna: Saggi Pop Indagini sull’effimero essenziale alla vita e non solo un lungo e appassionato viaggio nella cultura pop tra saggi, interviste, disegni e approfondimenti. Perché “l’effimero è essenziale alla vita e non solo”…
Claudio Sottocornola ha presentato il suo nuovo libro SAGGI POP. Indagini sull’effimero essenziale alla vita e non solo, pubblicato da Marna Editore. Saggi Pop esce a due anni di distanza dal fortunato Varietà, il libro che ha raccolto numerose interviste ai grandi dello spettacolo e della cultura realizzate nel corso degli anni ’90 dal filosofo del pop, lavoro che ha segnato un momento importante nella vicenda del professore, come sempre operativo nella confluenza dialettica tra varie aree del sapere. Da Nilla Pizzi a Marco Mengoni, da Abramo a Malcolm X, da Socrate a Bauman, Claudio Sottocornola suggerisce numerosi spunti in un nuovo viaggio fra musica, cinema, mode, televisione, controculture e spiritualità: un grande affresco del ’900 sino al nuovo millennio, in un percorso interdisciplinare e transmediale imprevedibile e affascinante.
Saggi Pop approfondisce – come sempre con l’eclettico punto di vista ermeneutico che caratterizza il filosofo – una parte importante, probabilmente cruciale e decisiva quanto il sacro, quanto l’immagine, quanto lo stesso sapere teoretico, dell’esperienza di Sottocornola. E’ una lunga e intensa sosta nel mondo del pop, una fase di ulteriore analisi e approfondimento in quell’itinerario nella cultura popolar che Claudio Sottocornola ha eletto ad ambito di speculazione prediletto, tanto da essere ribattezzato dalla critica “il filosofo del pop” proprio per la qualità e la dedizione dei suoi studi. Studi che lo vedono ancora oggi appassionato divulgatore di una chiave di lettura ermeneutica, interprete e portavoce di una congiunzione tra i linguaggi di massa, i consumi culturali, l’elaborazione filosofica e i risvolti individuali, che egli amplia rendendoli universali. In particolare Saggi Pop, volume notevolmente ricco di direzioni, spunti e tagli originali, si caratterizza per una spiccata ampiezza, utile sia a riassumere l’attività finora svolta dal filosofo, sia a anticipare risvolti futuri.
Il cuore di Saggi Pop è in prima battuta nel sottotitolo: Indagini sull’effimero essenziale alla vita e non solo allude alla leggerezza della cultura pop ma anche alla sua essenzialità nella vita delle persone. E’ una chiave fondamentale per comprendere l’attività di Sottocornola, che usa strumenti ermeneutici “alti” per restituire al lettore e allo spettatore una materia che coinvolge sì le masse, ma non per questo dozzinale, poco nobile o priva di interesse. La parte più densa dei Saggi Pop ha proprio questa premessa e riguarda temi cari al filosofo, dall’ermeneutica filosofica della canzone pop, rock e d’autore alla rilettura della figura femminile nella canzone italiana, colta sia nella sua evoluzione storica dagli anni ’60 ad oggi, sia nell’approfondimento di singole figure, da Wanda Osiris alle veline. Il divismo e il sacro sono ancora una volta rilevanti per l’autore, che riflette sul potere della televisione ma anche su itinerari legati al cinema, soffermandosi sul ruolo del linguaggio televisivo nell’epoca dei reality. La moda e la bellezza, la letteratura per ragazzi, le controculture ieri e oggi sono ulteriori argomenti che rilanciano la varietà dei Saggi Pop, arricchito da numerose interviste (pensiamo al rapporto tra sport, cibo, animali e canzone, oppure al Festival di Sanremo), da approfondimenti sui temi chiave delle sue popolari lezioni-concerto (dai teenager alla crisi del sacro).
Saggi Pop ospita anche alcuni contributi di giornalisti, sociologi, docenti, intellettuali che seguono con curiosità il lavoro di Sottocornola. Pensiamo a Mario Bonanno, tra le penne più prolifiche e autorevoli nel campo della canzone d’autore (area che Sottocornola ha sempre osservato con interesse e spunti originali), il quale dichiara: “Se le parole contano ancora qualcosa, Claudio Sottocornola riconduce il pop al suo stato primigenio e virginale… restituendo la locuzione alle sue potenzialità smarrite”. Oppure Marco Bracci, sociologo della comunicazione attento al tema dell’identità nel rock, che sottolinea come Sottocornola riesca a indagare nella “complessità nascosta del pop” grazie ad una forma mentis e a un modulo operativo “transdisciplinare”, che confluisce in un “risultato variegato, multidimensionale,… affascinante e stimolante dal punto di vista intellettuale”. In copertina la prima delle Pop Ideas, disegni realizzati proprio da Sottocornola, riportati per la prima volta in assoluto all’interno del libro: i volti di Rita Pavone, Johnny Hallyday, Ornella Vanoni o Shirley Bassey completano un’analisi meticolosa e originale del divismo, arrivando all’essenzialità grazie alla combinazione fra tratteggi e colori, che presentano un’ulteriore direzione inedita, come sempre accade nel mondo polimorfico di Sottocornola. Il volume offre poi al lettore la possibilità di accedere mediante QR code alle lezioni-concerto on line e a slide show e gallery delle immagini pop.
5 domande a Claudio Sottocornola
Ci parli di “Saggi Pop”, il suo ultimo libro.
E’ un volume piuttosto corposo, di quasi 600 pagine, che io definirei una specie di magazzino o archivio della cultura popular contemporanea, specialmente italiana, e con una forte attenzione al periodo che va dagli anni ’60 ai ’90 del ‘900. Il corpus del libro è costituito da 18 saggi, in gran parte dedicati alla musica popular, spesso pubblicati in precedenza su riviste di vario tipo: si va dal rapporto fra musica e giovani all’evoluzione dell’immagine femminile, dai cantautori alla ricerca del trascendente nella canzone, fino al mito degli anni ’60. Ma ci sono anche saggi dedicati alla storia del cinema italiano, della televisione, della moda, delle controculture, della letteratura per ragazzi, o alle principali tendenze della filosofia, dell’estetica e della spiritualità guardate da approdi e naufragi del Terzo millennio. In appendice sono poi inserite interviste e lezioni-concerto. Le prime spaziano da arte, filosofia e musica a cibo, sport, estate e animali nelle canzoni, con un gruppo di interviste in cui ripercorro la Storia del Festival di Sanremo. La terza sezione include 11 lezioni-concerto, in gran parte trascritte dalla registrazione video delle stesse, che ricostruiscono una sorta di Storia della canzone italiana on the road. Chi fosse particolarmente interessato al tema ha anche la possibilità di accedere, attraverso un QR Code che si trova in quarta di copertina, all’archivio dei miei live in rete, spesso con gli studenti, nella versione integrale, così come alle mie “Pop Ideas”, disegni ispirati alla pop art di cui compare una selezione nel libro e uno slide show in rete.
Qual è secondo lei l’artista pop italiano più grande di sempre? E quello attuale?
Forse può stupire qualcuno, ma credo che – se ci atteniamo al pop, e lo intendiamo in una accezione pasoliniana, di attinenza alla vita delle masse – la coppia di teen-idol anni ’60, Rita Pavone e Gianni Morandi, abbia avuto un ruolo di svecchiamento sociologico oltre che musicale, del nostro Paese davvero senza precedenti. La prima ha introdotto nel panorama musicale italiano una presenza scenica insieme androgina e da ragazza della porta accanto, utilizzando una voce aggressiva e votata al sincopato, che ha irrimediabilmente mutato gusto dei giovani e modelli di femminilità in Italia. Il secondo, con una voce moderna e un po’ spezzata, una figura solare e un approccio empatico alle folle, ha accompagnato gli italiani nella modernità, dall’adolescenza degli anni ’60 alla maturità disincantata del nuovo millennio. Francesco Renga invece credo sia oggi una delle più belle voci pop che abbiamo in Italia, grazie anche alla sua provenienza dall’esperienza rock dei Timoria, e a una sensibilità molto nervosa e contemporanea, mentre Morgan è un artista capace di interpretazioni dal fascino surreale e di ibridazioni di generi e modalità espressive, che non ha confronti nella musica italiana; Marco Mengoni possiede un’impostazione vocale che ricorda Mina e una presenza scenica ipnotica e straniante di sicuro effetto, e costituisce pertanto una promessa che speriamo sia mantenuta.
Che cosa ne pensa dei cantautori italiani contemporanei?
Viviamo in un mondo musicale frammentato e disperso, dove mancano grandi sinergie creative, se non quelle finalizzate a produzione e consumo. Così il linguaggio del pop, nel senso più edulcorato e riduttivo, si impone persino alla canzone d’autore, che deve assimilarne sonorità e temi, mentre il rap sta diventando il linguaggio di quanti cercano nella parola il proprio motivo ispiratore, ereditando esigenze che furono e della canzone d’autore e della poesia scritta, ma spesso ancora prive della profondità e intensità di quelle esperienze. La Rete, You tube, i Social Network che hanno imposto nuove logiche ai media tradizionali, come Tv, radio e carta stampata, hanno permesso di ripensare e riorganizzare il rapporto con la musica, sottraendola al territorio e rendendola più facilmente disponibile a chiunque, ma questo tende a favorire mobilità e cambiamenti di gusto. Un giovane oggi può ascrivere fra i propri idoli musicali J-Ax e i Linkin Park, Jovanotti e Amy Winehouse, Miles Davis e Caparezza, Tiziano Ferro e i Pink Floyd, assemblando i loro pezzi in una virtuale e provvisoria compilation, da cui verranno facilmente rimossi al sopraggiungere di un nuovo hit, di nuove scoperte in Rete o di un nuovo gruppo di amici. E i “nuovi” cantautori tendono ad adeguarsi a questo orizzonte rendendo più liquida ed epidermica la propria proposta, mentre le “voci”, da Noemi a Elodie, prosperano con il loro fascino un po’ algido e virtuosistico.
Esistono testi delle canzoni degli ultimi 10 anni che possono essere definiti eterni come quelli di De André, De Gregori, Dalla o Mogol?
Quel tipo di esperienza, come acutamente suggerito dal critico e storico della canzone d’autore Mario Bonanno in “La musica è finita. Quello che resta della canzone d’autore” (Stampa Alternativa, 2015), si configura ormai come un’esperienza conclusa, irripetibile e non imitabile. Semmai dobbiamo ricercare nelle ibridazioni del gusto, nella contaminazione dei generi, nel proliferare spesso consumistico e omologante di un pop ormai pervasivo a livello planetario e di una cultura hip hop che tende a sostituire il rock storico anche nel suo ruolo antagonista, nuovi stimoli e nuove esperienze estetiche. La centralità oggi non è più nella parola modulata ma nella scansione del messaggio entro uno scenario visivo e uditivo ipnotico e avvolgente, stordente e dopante, in reazione a una società e a un vissuto evidentemente alienati e bisognosi di sensazioni forti, di evasioni totalizzanti, di esperienze appaganti di sogno e di fuga, per ricaricare le pile di una vita consegnata alla frustrazione e al risentimento. Lo avevano intuito in modo preveggente, fra gli anni ’80 e ’90, i vari Vasco, Ligabue, Zucchero, Nannini, scegliendo una musica totale, una esperienza scenica panica e, spesso, utilizzando assai efficacemente il linguaggio sloganistico per entrare nel cuore delle masse. Così ha fatto anche Max Pezzali con i suoi hit postmoderni nell’ambito del pop d’autore. Poi c’è il pop di consumo che prospera coi suoi clip scontati e una programmazione radiofonica quasi sempre compiacente, in cerca di musica liofilizzata quale sottofondo di un tardo capitalismo anestetizzante.
Che cosa ha rappresentato Sanremo per la cultura italiana? È vero che negli anni abbia perso la sua importanza mediatica?
Sanremo, nato nel 1951, ha avuto in Italia un ruolo storico nel rafforzamento di un’identità nazionale, soprattutto linguistica, proprio come la televisione, introdotta nel ’54. Ricordiamo che l’Italia degli anni ’50, nel passaggio dalla ricostruzione al boom economico, era ancora fortemente caratterizzata dai dialetti. La canzone sanremese introdusse un idioma forse impacciato, un po’ aulico e ridondante, perché ancora non esisteva una lingua letteraria e popolare insieme. E tuttavia accomunò gli Italiani regalando loro un primo, moderno immaginario collettivo, quell’universo simbolico che ancora mancava. Ciò accadde non solo per la lingua, ma anche per il nascente fenomeno del divismo, soprattutto femminile, che negli anni ’60 vide sfilare sul palco dell’Ariston Mina e Milva, Vanoni e Pavone, Zanicchi e Berti, Nada e Patty Pravo. C’erano poi gli stranieri, che cantavano in italiano e ci insegnavano un altro modo di emettere e modulare la voce, da Louis Armstrong a Shirley Bassey, da Wilson Pickett a Paul Anka, da Dionne Warwick a Eartha Kitt. Dopo la crisi degli anni ’70, in cui i cantautori rifiutavano e snobbavano il Festival, tra gli anni ’80 e ’90, con i passaggi di Vasco e Ramazzotti, della Oxa e della Mannoia, di Mia Martini, Alice e Loredana Bertè, c’è sì una rinascita della manifestazione, ma in un contesto storico mutato, sino agli attuali scenari dove a prevalere sulla canzone è il format televisivo, e quindi i grandi interessi degli sponsor. Oggi non credo che il Festival abbia ancora la possibilità di promuovere canzoni simbolo e grande repertorio d’autore, perché le canzoni non riflettono più sentimenti collettivi, come ai tempi del boom economico o della contestazione, in quanto non ci sono più sentimenti collettivi, ma privati egoismi. Al massimo, in queste condizioni storico-sociali, possono nascere squisiti cammei, liriche dall’eleganza ellenistica, ma non certo dotate di un’indiscutibile vocazione popular. La diffusione dei social media poi ha reso la manifestazione un po’ obsoleta per i più giovani, che guardano ad altre agenzie per consumare musica e, al massimo, si lasciamo incuriosire da qualche passaggio ripescato su You tube, ma non si affezionano più ai divi della Tv, essendo affiliati al web secondo logiche di appartenenza e interazione che li allontanano dai media tradizionali. Penso che Sanremo possa al più diventare una vetrina storica, una carrellata del meglio prodotto nell’ambito della canzone popolare italiana, se chi lo organizza andrà in cerca di qualità e rappresentatività di brani e cantanti, in grado di coinvolgere il pubblico e la critica, come accade per i grandi festival internazionali del cinema.
A cura di Leonardo Capobianco
Info: http://www.claudiosottocornola-claude.com/