Dopo aver visto il funzionamento della Scala Pitagorica e del temperamento equabile, oggi vediamo come si costruisce la Scala Zarliniana (da Gioseffo Zarlino) o naturale…
Nella discussione sulle scale che hanno contribuito allo sviluppo della moderna musica Occidentale, dopo avere introdotto la scala Pitagorica e quella basata sul temperamento Equabile, rimane da discutere la scala naturale. Soffermeremo la nostra attenzione su due approcci differenti alla sua costruzione, di diversa origine storica, ma che giungono ai medesimi risultati, cosa questa che spesso ingenera malintesi di natura storica sull’approccio metodologico: quindi tratteremo della scala naturale zarliniana, concepita da Gioseffo Zarlino, musicista veneto del XVI sec. D.C., e della scala basata sugli armonici naturali. Prima di entrare nei dettagli, si ritiene opportuno indugiare su un paio di precisazioni. Il termine “naturale” (più precisamente: “intonazione naturale) si basa sulla successione naturale dei suoni armonici. A questo punto occorre contestualizzare il concetto di “armonico” che assume due significati differenti: prima e dopo Joseph Sauver, fisico e matematico francese (uno dei padri fondatori dell’”Acustica” come disciplina della Fisica). Prima di Sauver il concetto di armonico si riferiva ai suoni prodotti da rapporti tra numeri interi. Così si partì da Pitagora fino a Zarlino. In seguito, la scoperta da parte di due studiosi di Oxford, William Noble e Thomas Pigot, che una corda vibrante, accordata su un tono musicale, generava un’intera serie di toni attenuati e complementari venne sviluppata da Sauver, il quale coniò il termine di armonici (nei primi del XVIII sec. d.C., a lui si deve pure la teoria dei “battimenti”) per quei suoni che erano multipli interi di una frequenza generatrice.
Detto questo, ritorniamo alla costruzione della scala naturale.
Il metodo di Gioseffo Zarlino
Con lo sviluppo della musica polifonica tonale, la sacralità dei rapporti pitagorici, basati sui primi quattro numeri primi 1,2,3,4 e la cui somma era uguale a 10, iniziava a dare segni di cedimento all’epoca di Zarlino. L’assunto, d’altronde, soffriva di una giustificazione dogmatica a causa del dominio della cultura classica che pervase la società occidentale sino all’avvento del metodo scientifico, storicamente attribuito a Galileo Galilei. In poche parole, non c’era nessun disegno divino nella scala di Pitagora. Essa non era immutabile. Il retaggio culturale era però ancora succubo del “principio di autorità” della cultura classica e l’orecchio che oramai si stava abituando alle armonie con terze maggiori, minori e seste, imponeva un nuovo approccio alla costruzione delle scale. Gioseffo Zarlino ebbe il merito di trovare un compromesso: l’armonia si poteva anche ben comporre su un sistema senario e non più quaternario. Quindi basato sui primi sei numeri interi. Zarlino dovette anche giustificare filosoficamente questa scelta, per rimanere sempre all’interno del “piano Divino”, ma non è argomento che ci tange adesso. In questo modo fu possibile formare la terza maggiore (rapporto 5:4), la sesta maggiore (5:3) e la terza minore (6:5). La sesta minore (8:5) rimaneva fuori, ma Zarlino la giustificò motivando che il numero 8 è il risultato di 4 x2, ovvero due numeri del sistema senario! Quindi questi rapporti vennero aggiunti alle già note proporzioni Pitagoriche: ottava (1:2), quinta(3:2), quarta (4:3).
Il metodo degli armonici
La teoria degli armonici, che abbiamo brevissimamente accennato a proposito di Sauver, permette di ottenere le note secondo le seguenti regole: i) si sceglie una frequenza per una nota di riferimento e la si moltiplica per numeri interi, quindi per 2,3,4,… ecc; ii) per le note che superano l’ottava di riferimento si divide la frequenza per 2n, dove “n” indica il numero di ottave di distanze dall’ottava di riferimento. Per esempio, se costruiamo la scala partendo dal Do4, il Do5 si trova ad un ottava di distanza per cui “n”=1: dovremo quindi dividere per 21 per ottenere il Do4. Avessimo avuto un Do6, sarebbe stato necessario dividere per 22 (poiché adesso sono due le ottave di distanza) per ottenere sempre il Do4; iii) si eliminano le eventuali note “doppioni” che si ottengono.
A questo punto bisogna scegliere dalla serie di note ottenute quelle da includere nella scala.
Scelta degli armonici
La scelta degli armonici si basa sul principio che gli armonici di ordine superiore (relativi alle ottave più alte) contribuiscono in modo trascurabile alla formazione del suono di un corpo vibrante, per cui ci si limita ad usare gli armonici di ordine inferiore caratterizzati da rapporti di frequenze semplici ottenuti con numeri piccoli, ad esempio: una terza ottenuta con il rapporto 5:4 (caso della scala naturale) risulta più consonante della terza pitagorica ottenibile dal rapporto 81:64. questo perché la presenza di rapporti di frequenze non semplici, come già peraltro intuito anche da Pitagora, genera intervalli maggiormente soggetti a dissonanze e battimenti.
La scelta delle note si basa proprio su questo assunto. La scala, infatti, andrebbe costruita dalla serie delle note ottenute dagli armonici, generalmente i primi venti. Alcune note della serie vengono però generate da armonici di ordine superiore per cui a volte si usa approssimare con un rapporto più semplice. Un esempio è dato dalla nota La che corrisponderebbe al 27° armonico e che che corrisponde ad un rapporto di 27:16. Tale rapporto si può approssimare, con uno scarto di 21 cent (leggi l’articolo per la definizione di cent) cioè meno di ¼ di semitono equabile, usando il rapporto di frequenze 5:3.
Riassumendo, ottenuti gli armonici e tolte le note “doppioni”, i suoni generati dai primi armonici contribuiscono alla costruzione della scala. Le note mancanti nella scala che vengono generate da armonici superiori, vengono approssimate con rapporti di frequenze semplici. Per avere un’idea, nella tabella di seguito si riportano i primi venti armonici:
Come si nota, in questi primi armonici (tolte le note “doppioni”) sono presenti quasi tutti le note della scala da noi conosciuta. Mancano il La che abbiamo già discusso e il Fa, il quale è per ben ottenuto dal pitagorico rapporto di quarta dato da 4:3.
I risultati ottenuti, per gli stessi intervalli, sono coincidenti con quelli ottenuti da Zarlino. A questo punto, non me ne vorranno i puristi se, dopo aver contestualizzato storicamente i due approcci, userò il termine “Zarliniana” nel prosieguo del testo.
Scala Zarliniana diatonica
La scala diatonica così ottenuta permette di migliorare le dissonanze, di terza e di sesta soprattutto, della scala Pitagorica. A tal proposito, la Tabella seguente confronta i rapporti di frequenza per i vari gradi secondo le scale Naturale e Pitagorica. In essa si nota come gli intervalli di terza, sesta e la sensibile, siano adesso rappresentati da rapporti di frequenze più semplici rispetto a quelli della scala Pitagorica. Nella scala Naturale viene inoltre introdotto un ulteriore intervallo elementare rispetto alla scala pitagorica: il tono minore. La scala Naturale viene quindi caratterizzata da tre toni elementari: il tono maggiore dato dal rapporto 9:8 corrispondente a 204 cent (crescente di soli 4 cent rispetto al tono equabile), il tono minore, dato dal rapporto 10:9 e corrispondente a 182 (crescente di circa 1/3 di semitono equabile), e il semitono diatonico, dato dal rapporto 16:15 e corrispondente a 112 cent (quindi crescente di 12 cent rispetto al semitono diatonico).
Scala Zarliniana cromatica
La scala cromatica nasce dall’esigenza di ampliare la gamma delle possibilità melodiche le quali risultano limitate per una scala diatonica, quale essa sia. I criteri di costruzione sono invero non univoci e, in sintesi, occorre fissare il numero di armonici da considerare per generare i toni così come il criterio di scelta del semitono di riferimento che si esaurisce in due opzioni: il semitono diatonico e il semitono cromatico. Nel primo caso esso viene ottenuto dall’intervallo di seconda minore tra il terzo e il quarto grado della relativa scala diatonica. Dalla Tabella 2 risulta che il rapporto tra questi gradi è uguale a 16/15, per cui il semitono diatonico corrisponde a circa 112 cent (crescente quindi ci circa 12 cent rispetto ad un semitono equabile). Nel secondo caso, il semitono cromatico si ottiene dal rapporto tra una quinta e due terze sovrapposte generando così un rapporto di 25/24 pari a circa 71 cent, (per l’esattezza: 70.672, calante quindi di circa 1/3 di semitono equabile). Questi rappresentano il rapporto da usare per il primo semitono della scala per cui se si parte da Do il Do♯ verrà calcolato o come semitono diatonico (16/15) o come semitono cromatico(25/24).
Una discussione più approfondita esula dagli obiettivi di questo post. In questa sede sia sufficiente rimarcare che con la scala Zarliniana si “addolciscono” di molto le dissonanze delle terze e delle seste rispetto alla scala Pitagorica; inoltre, la presenza di un tono minore ne amplia le capacità melodiche e armoniche. Però anche questa scala presenta alcuni svantaggi analogamente alla scala Pitagorica: anche in questo caso, infatti, l’intervallo di quinta Sol♯-Mi♭ risulta calante, in aggiunta all’intervallo La-Re già visto per la scala diatonica. (In realtà la quinta corretta dovrebbe essere Sol♯-Re♯ o La♭-Mib, infatti: benché tali intervalli siano omofoni nel temperamento equabile, e quindi Sol♯-Mi♭ risulta essere di conseguenza un intervallo omologo, così non è nella scala Zarliniana. Le note scelte per questa scala però sono proprio Sol♯ e Mi♭ per cui tale intervallo, in questo caso, assume la funzione di intervallo vicariante di quinta, con deludenti esiti, come già scritto).
Questo problema si manifesta in tutta la sua crudezza, come peraltro anche nella scala Pitagorica, negli strumenti ad accordatura fissa.
Sono state così introdotte, nei loro aspetti più generali, le principali scale: Pitagorica, Naturale, temperamento Equabile, che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo della musica Occidentale. Abbiamo però discusso gli aspetti puramente tecnici mancando della necessaria contestualizzazione storica ed epistemologica che ne giustifichi il loro concepimento ed impiego. Cosa che faremo in prossimi appuntamenti dove ci sarà occasione di approfondire ulteriori aspetti teorici di queste scale.
Infine: non saranno passate inosservate alcune omissioni riguardanti la discussione sui vari temperamenti, in primis ma non unicum quello mesotonico, che si sono insinuati nel corso dei secoli tra le tre scale che abbiamo discusso e che ancora oggi sopravvivono nella cultura di alcuni strumenti ad accordatura fissa. Si invocheranno in tempi opportuni.
A cura di Alberto Casella
Leggi tutti gli articoli di Fisica e Musica
- Fisica e Musica: come si costruisce una scala musicale
- Non è sempre stata la stessa musica: della scala Pitagorica
- Non è sempre stata la stessa musica: della scala Zarliniana (o Naturale)
Fonti:
1) http://fisicaondemusica.unimore.it/Scala_pitagorica.html
2) Stuart Isacoff, Temperamento: storia di un enigma musicale, EDI (2001), ristampa 2005.
3) Alfred Einstein, Breve storia della musica, Oscar Mondadori (2008), ristampa 2011.
Mi sono sempre chiesto che effetto farebbe ascoltare la musica dei tempi antichi, quella originale, intendo, non una ricostruzione inevitabilmente inquinata da milleni di evoluzione e modifiche… se esistesse la macchina del tempo, questa è una delle cose che vorrei scoprire 🙂 Bell’articolo, anche per chi di teoria capisce pochino come me 🙂
Sì, è la stessa domanda che mi sono spesso posto anche io. Argomento affascinante. E’ un po’ come per lingue morte: magari ne conosciamo la grammatica, la sintassi ma non abbiamo certezze sulla reale pronuncia di alcuni fonemi così come sulla metrica espositiva. Ricostruiamo il tutto solamente in base a fonti scritte, senza alcuna “memoria audio”: occorrerebbe “la macchina del tempo” (cit. 🙂 ) .
La ringrazio per il suo gradimento all’articolo.
Interessantissimo, nozioni indispensabili per capire il sistema d’intonazione.
Ma, con tutto il rispetto (lo cita anche Righini nel suo Trattato di Fisica Acustica) è un errore accostare gli studi di Zarlino alle armoniche (scoperte da Joseph Sauver circa un secolo dopo), perché il fisico di Chioggia adottò il monocordo ed i rapporti semplici per ottenere ed elaborare la sua famosa scala “naturale”.
Poi il fatto che i rapporti del monocordo e via via i suoi dimezzamenti coincidano con le armoniche, è un fatto fisicamente sancito, ok, ma storicamente se si annette il termine “suono armonico” agli studi sul monocordo di Zarlino (che in realtà sono di Archita 430 – 440 a.C.), si commette un errore.
Solo una precisazione su un fatto temporale che, in effetti, non muta i termini della questione, perché l’assunto del Sig. Casella non fa una piega, è impeccabile.
Sarebbe un po’ come adottare un protocollo culturale sancito nel prosieguo ad una scoperta fatta tempo addietro: in termini colloquiali, sarebbe come se si spiegasse il modus operandi di Bach raccontando che su una partitura usò un (a titolo d’esempio) C13maj (ossia la sequenza di note C – E – G – B – D – F – A in forma di accordo): errore, ma solo tecnico, perché ai suoi tempi non si “concepiva” l’accordo come scrivono oggi i jazzisti e la maggior parte di musicisti, bensì semplicemente scriveva il DO e sopra di esso la successione. Altro esempio, ancora più terra terra: oggi la nota “Blu”, nel genere modale Blues, è la 3b (ed anche la 5b, a dire il vero, sarebbero due le note blu), quindi per spiegare ad un allievo di oggi la nota blu, si spiega che è la 3za ma abbassata di un st. Errore, la celeberrima nota blu era semplicemente una nota calante, un po’ stonata. Quindi sono “errori” solo etimologici, ma appunto, poi nei conteggi, nulla cambia.
Non era una critica al testo sopraccitato del Sig.Casella, solo un accostamento nozonistico
Grazie, Saluti
Stefano Laguzzi
Carissimo Sig. Laguzzi, la ringrazio per il suo commento elegante e puntuale. Sono pienamente d’accordo con Lei. Ho infatti, consapevolmente, espresso i due approcci come sinonimi secondo (l’errata) consuetudine di considerarli equivalenti e non specificando i diversi significati di “naturale” secondo Zarlino e secondo la teoria degli armonici. Ad inizio post ho infatti chiosato, con un commento tra parentesi, perchè volevo rimandare ad un approfondimento degli aspetti storici, per ripianare la ovvia discrasia che non passa inosservata a chi coltiva questi aspetti. L’approccio di Zarlino infatti è diverso dal protocollo usato seguendo la teoria degli armonici anche se, come correttamente da lei esposto, si giunge ad una coincidenza dei risultati in molti casi. Purtroppo per motivi di tempo (lo so, l’articolo ha già una sua età) non ho ancora terminato il avoro. Ad ogni modo, poichè è prioritaria la corretta divulgazione di un argomento, viste le perplessità che suscita la lettura del lavoro, colgo l’occasione del suo commento per adoperarmi ad una revisione per non ingenerare confusione. La ringrazio nuovamente per il suo costruttivo contributo. Cordiali saluti, Alberto Casella
Salve Alberto.. Grazie a lei!!!!!
Mi sono ripassato un po’ il contesto, anche perché sono argomentazioni che se non le ripassi, le perdi.. La musica, dopo Werckmeister, per fortuna è felicemente suddivisa in 1200 cent, e va benissimo così, coi # e b coincidenti!!! ah ah ah …
Ai giorni nostri, pensare che addizionando e sottraendo (che poi sono moltiplicazioni e divisioni) frazioni semplici ti fa ad approdare e carpire la scala naturale, ti manda fuori di testa..
Terze, seste, toni grandi, toni piccoli..
Avrei voluto vedere un esecutore di allora ad una celesta NON temperata come se la cavava, con accordi magari minori che davano risultanti sonore differenti!!…
Azz, oggi abbiamo cantanti stonati con l’equalizzato pensi ad allora!!!!
GRAZIE, BELL’ARTICOLO CULTURALE!!..
Saluti – STEFANO, Genova
errata corrige.. intendevo che la scala di 1200 cent è suddivisa in toni uguali (pardon)
Caro Stefano,
spero adesso di avere fatto giustizia delle imprecisioni nozionistiche della precedente versione. 🙂
Ovviamente, quelli che noi riportiamo sono i momenti storici notevoli. Una trattazione completa ed esauriente dovrebbe tenere conto di tutte le sfumature : per esempio il temperamento equabile non è una novità del XVIII sec., ma fu in quel periodo che si affermò e, quindi, nella musica occidentale lo riconosciamo in quel contesto. Nessuno stupore se sistemi molto simili fossero già noti anche da molto prima, ma poco diffusi o accettati, spesso per motivi ideologici :).
Insomma, … sarebbe un bel sentire 🙂
Ancora grazie per i suoi commenti.
Cordiali saluti- Alberto
Grazie a Lei!!!…
SALUTI!
Stefano
GENOVA
Molto interessante. Una pubblicazione completa ma non estremamente tecnica da suggerire ?
Ciao.. sarebbe un po’ come chiedere una sinossi sul pensiero di Nietzsche ma no troppo complicata .. ah ah .. Scherzo.. ma certo è che non sono argomentazioni di prima assimilazione, quindi sono complicate per definizione. A meno di non essere un matematico di professione, quindi giocoforza sempre legato ad operazioni non consuete, non è che tutti i giorni facciamo operazioni sulle frazioni, quindi per conseguenza, tutto ad esse annesso, diciamo che si trova avulso dagli schemi usuali. Poi, francamente, per lo studio della musica è utile ma fino ad un certo punto, perché (ad esempio) per sapere cos’è un parallelismo armonico o una “scala hindu”, bisogna studiare la musica ma quella (per capirci) “moderna”, dal temperamento equalizzato in poi. Tutto ciò che avvenne prima, ossia prima di Werckmeister, sortisce effetto di arricchire la propria cultura, ma non trova particolari significazioni per imparare a carpire i legàmi della Musica, costruire un accordo di 4aggiunta, sapere come si usa una octofonica, ecc.
Non voglio svilire la cultura, ci mancherebbe, solo che quando io mi addentrai in questi lidi, mi servì sicuramente per capire perché un pianoforte accordato coi battimenti di 5a giusta poi risulti stonato… ok!! Ma per poi carpire tutto lo scibile musicale, abbandonai del tutto gli arzigogoli di Zarlino e cominciai dalle scale diatoniche, e poi quelle di sintesi ecc, ma senza pensare al tono grande e al tono piccolo .. tutto qui. Se vuoi quindi qualcosa che ti faccia capire la scala naturale, devi ascoltare Monteverdi o Palestrina e poi studiare fisica acustica… se diversamente vuoi addentrarti nella composizione o negli espedienti improvvisativi, studia la Musica..
Ciao, buona serata
Salve! Grazie per il suo apprezzamento. Per mie competenze non ho un suggerimento in merito in quanto l’argomento impone di spaziare dalla prassi storica, per contestualizzare l’evoluzione degli eventi, ai dettagli fisici (e matematici quindi) per la parte tecnica. Per quel che posso permettermi di suggerire, se lo scopo è iniziare ad approfondire questi argomenti, il testo citato a fine articolo, ovvero:
” Stuart Isacoff, Temperamento: storia di un enigma musicale, EDI (2001), ristampa 2005.”
è un belissimo compendio storico su come si sia arrivato al temperamento equabile moderno attraverso i secoli; cosa questa che implica anche il passaggio dalla Scala Zarliniana. Da un punto di vista storico, a mio avviso, il libro presenta una narrazione molto puntuale a gradevole.
Per i dettagli tecnici, mi permetto di suggerire due testi “classici” di acustica musicale, usati infatti come testi didattici, che nel merito sono:
i) Salvatore Pintacuda – Acustica musicale -Edizioni Curci
ii) Pietro Righini – L’acustica per il musicista. Fondamenti fisici della musica – Edizioni Ricordi.
Tutti i testi citati sono anche molto abbordabili dal punto di vista dell’investimento economico.
Spero di esserle stato d’aiuto.
Cordialmente,
Alberto Casella
PIETRO RIGHINI.. grandissimo (che purtroppo ci ha lasciati).. Per comprendere il suo trattatello sui princìpi di fisica acustica e il trattato dei RAPPORTI SEMPLICI, lo dovetti leggere 8 volte .. Non è Topolino, e nemmeno Salgari..
Spero di non effettuare “necroposting”, ma del resto l’argomento è di quelli che a mio avviso non scadono mai fino a nuova definizione.
Mi sto interessando da un po’alla questione, e seppure ancora non ho compreso bene alcuni aspetti secondari che spero di approfondire anche con i libri che consiglia, mi risulta evidente il seguente dato: data una precisa tonalità l’accordatura naturale è quella acusticamente perfetta, sebbene purtroppo negli strumenti a intonazione fissa dovrebbe essere modificata ad ogni cambio appunto di tonalità.
È corretta questa affermazione alla luce di ciò che leggo?
Nel caso a parte strumenti come il pianoforte e la chitarra, come mai ora che tutti degli strumenti elettronici ad esempio permettono di personalizzare l’accordatura al volo, non si utilizza abitualmente?
Io ad esempio ho un synt che a parte accordature più particolari, mi consente 12 tuning “pure maj” e 12 “pure min”: corrispondono a quel che ho capito alle varie accordature della scala naturale?
Esempio se io ho un pezzo in tonalità sol minore dovrei dunque nel caso selezionare “pure min G”?
La ringrazio nel caso di chiarimento di questi dubbi anche se a posteriori, perché in procinto di realizzare alcuni pezzi a cui tengo molto, mi interesserebbe poterli eventualmente rendere acusticamente ancora migliori e complimenti per la sua pagina.