I Soul Basement di Fabio Puglisi, dopo averli ascoltati e visti nel video Noise Pollution, sono ancora ospiti del Blog della Musica e ci parlano del loro nuovo album What We Leave Behind…
Soul Basement è la band che ha messo l’Italia sulla mappa internazionale della soul music e ritornano sulle scene in grande stile, con un album dal titolo What We Leave Behind degno della migliore tradizione Blue Note Records. Il fondatore Fabio Puglisi, musicista e produttore di fama internazionale, con la collaborazione dell’ottimo vocalist statunitense Jay Nemor. Eccoli nell’intervista…
Sul nostro Blog della Musica oggi ospitiamo i Soul Basement. Ciao e benvenuti, vi presentate ai nostri lettori? Chi siete e cosa fate?
Ciao a voi carissimi amici, e grazie per ospitarci sul vostro bel portale. Soul Basement è un progetto fondato da me, Fabio Puglisi, nel 1997, che ha quattro album all’attivo, e consiste di quattro elementi: voce, piano/tastiere, basso e batteria. Solitamente ci muoviamo all’interno del jazz, nel senso più vasto e globale del termine, che comprende quindi anche altri generi come il soul, il R&B, il funk… In alcuni brani, però, abbiamo sfiorato anche altri territori, come il pop tradizionale, il latin, l’elettronica e, a volte, perfino l’hip hop.
La soul music come fondamenta di tutta la musica? E’ questo che intendete con il vostro nome?
Non esattamente, anche perchè non sarebbe corretto pretendere che un solo genere stia alla base di un campo così sconfinato, e illimitato, come la musica. In realtà, il nome nacque dall’ascolto di un vecchio album di Roberta Flack, Blue Lights In The Basement. Contemplando la copertina dell’LP, mi colpì la parola “Basement”, che pensai di associare allo stile musicale, ed ecco che venne fuori il ben noto logo.
Da quali artisti i Soul Basement si lasciano contaminare musicalmente? Che musica ascoltate?
Noi amiamo principalmente il jazz, e i suoi derivati. Per fare un esempio, sia io che Jay Nemor, il nostro vocalist sull’album What We Leave Behind, siamo grandi ammiratori di artisti come Gil Scott-Heron, John Coltrane, Thelonious Monk, Miles Davis…
Personalmente, poi, mi piacciono anche altre cose, come la musica chill out, il R&B della Stax, e certe bands della New Wave britannica, tipo Talk Talk e Tears for Fears.
What We Leave Behind è il vostro nuovo album. Ce ne parlate?
Certo, si tratta di un disco che ha avuto una gestazione di poco più di un anno. E’ nato in maniera spontanea, senza particolari preparativi, direi che è stato quasi improvvisato in studio, sul momento. Avevo otto temi, otto grooves differenti, ma legati dalla radice comune del jazz, e ho deciso di svilupparli in vere e proprie canzoni definitive. Ho registrato, grazie all’overdubbing, un po’ tutti gli strumenti, tranne il sax che è di Jay, e la tromba del nostro amico Andeas Lovold.
E’ un album che gioca molto sull’emozionalità armonica, sulla profondità dei messaggi, sulle percussioni.
In un certo senso, si potrebbe paragonare a un viaggio nell’anima, attraverso otto tappe diverse, che affrontano alcuni dei temi cruciali della vita, e dei nostri tempi.
Otto canzoni fanno quindi parte del disco, ma se potessi ascoltarne una sola, quale dovrei ascoltare? Perché?
Questa è una domanda che, più che altro, dovrei rivolgere io a te. Anzi, sarei proprio curioso di conoscere la risposta. 🙂
Scherzi a parte, non saprei davvero cosa dirti. Mi pare che l’album tocchi – e faccia vibrare – diverse corde. Forse, alla fine, tutto sta nel modo in cui si percepisce la musica, che può variare da tipo a tipo, raramente è uguale per tutti.
Parlateci ora dei testi dei brani di What We Leave Behind a chi si rivolgono? Che cosa ci raccontano?
Nelle canzoni si parla un po’ di tutto, della vita in genere. Alcune affrontano l’argomento dell’amore, altre della separazione, della distanza fra le persone tipica della nostra era. In altre si parla di poesia, di lotta, rivoluzione, cambiamento, si cerca in qualche modo di stimolare il pensiero, un pensiero attivo, tendente al risveglio interiore dell’uomo. Le parole sono rivolte a tutti, credo che la musica non può – e non dovrebbe – avere un target di pubblico ben preciso. La musica nasce perchè è nel suo destino di nascere, a prescindere da chi – o da che cosa – la crea. E’ semplicemente lì, a completa disposizione di chiunque vuole prenderla.
E le sonorità musicali invece? Che strumentazione utilizzate? C’è un suono particolare che ricercate e che volete trasmettere?
Essendo principalmente un pianista, è il piano lo strumento che mi permette di esprimermi al massimo, ma mi sento a mio agio anche dietro ai tamburi, e alle percussioni in genere. In quanto al sound, come già sai noi veniamo dal jazz, quindi ci piace pensare di riuscire ad avvicinarci – anche se, forse, solo di striscio – alle atmosfere e ai moods dei nostri modelli passati.
Devo qui aggiungere, però, che in molti ormai credono che Soul Basement abbia un sound tutto suo, unico e riconoscibile e, certamente, noi li ringraziamo per il complimento.
In conclusione diteci: quali sono i vostri prossimi progetti e dove possiamo seguirvi?
Al momento stiamo lavorando alla promozione di questo nuovo disco, che è già molto programmato dalle radio, in tutto il mondo, e che sembra avere anche un ottimo riscontro di pubblico.
Le attività della band, in genere, si possono seguire in real time su tutti i nostri socials, e sul sito ufficiale soulbasement.com
Grazie ai Soul Basement per averci dedicato un po’ di tempo.
E’ stato un piacere, grazie a voi – e ai vostri lettori – per averci ospitato su Blog della Musica.
Info: https://www.facebook.com/soulbasementmusic/?fref=ts
wonderful interview! Soul Basement sono numero UNO.