Stefano Rachini, pianista, compositore, improvvisatore, ha pubblicato il disco Where the Spirit, un concept album che, attraverso 10 brani interamente strumentali, racconta la ricerca dello Spirito
Stefano Rachini, compositore e pianista. Benvenuto sul Blog della Musica. Come nasce e come si sviluppa la tua passione per la musica, prima, e la tua carriera da musicista, poi?
Ho cominciato i miei studi di pianoforte molto presto, a 6 anni. La passione l’ho sempre avuta, non potrei pensare alla mia vita senza musica, la sento come un elemento che mi appartiene, non come un qualcosa di cui fruisco. Come musicista mi ritengo un improvvisatore classico, uso la musica come terapia personale. Non so se si possa parlare di carriera. Ho avuto dei periodi in cui non ho suonato nè composto nulla. A parte i miei trascorsi giovanili in band pop e R&B e collaborazioni sporadiche di vario genere, è rimasto tutto in incubazione per molto tempo, fino a quando non ho sentito che avevo una storia da raccontare con il mio primo album ‘Reflections’ del 2017.
Where the Spirit è il tuo nuovo lavoro discografico. Un concept album che, attraverso 10 brani interamente strumentali, vuole raccontare la ricerca, tipica di ogni essere umano, dello Spirito, come suggerisce il titolo. Parlaci di questo lavoro
Al ritorno da un mio viaggio in solitaria in Nuova Zelanda ho sentito un particolare stato di presenza. Non avevo al tempo nè composto nulla nè alcuna idea di cosa sarebbe uscito fuori. Tutto il lavoro è nato in un mese e metà dell’album è stato improvvisata in studio nei due giorni di sessione di registrazione. L’idea del titolo che è che è poi il pezzo centrale dell’album è nata in una notte in cui non riuscivo a dormire e sentivo questa nota costante che mi suonava nella mente e non mi lasciava andare. Mi sono messo al piano, per buona pace dei vicini, ed ho seguito questa voce, questa nota costante che poi ha richiamato altri accordi e sviluppi. E’ nato il pezzo come canovaccio, perchè poi in studio è stato improvvisato. Ho voluto raccontare con questo pezzo una chiamata inconscia, quello Spirito che ci dice cosa fare ancora prima che ne siamo consapevoli. L’album parte da un viaggio su strada per addentrarsi nei meandri della mente come ‘In the Brain’ e segue con una ricerca che passa dalla meraviglia alla rivelazione. Per me questo è stato il percorso e spero di aver trasmesso il messaggio.
Una delle cose che più colpisce di Where the Spirit è che parte del disco è nato dall’improvvisazione in studio di registrazione. Era una cosa a cui avevi pensato o l’idea è nata spontanea mentre stavi registrando?
Come per il primo album ‘Reflections’, l’idea dei pezzi improvvisati è nata prima di entrare in studio. Addirittura avevo anche sfiorato la possibilità di improvvisare tutto l’album ma poi ho pensato che per la fruibilità dell’ascolto un lavoro di organizzazione compositiva era necessario. In ogni caso anche le mie composizioni partono da spunti improvvisati, anche se ovviamente l’energia di un pezzo completamente improvvisato è diversa da una composizione che prevede un lavoro di ricostruzione in un contesto allargato, come appunto il racconto di una storia.
Un’altra caratteristica di Where the Spirit è che fa letteralmente viaggiare l’ascoltatore. Il disco si apre con “Another road to take”, a rappresentare l’inizio del cammino, e si conclude con “At the end of the road”. I due brani hanno uguale armonia e melodia. Un cerchio che si chiude, come se la ricerca dello spirito partisse da un punto per poi terminare nel medesimo punto, ma con la ricchezza aggiunta che il viaggio ha portato. Era questa la tua intenzione?
Puoi vederlo come un cerchio che si chiude, o come una storia che non finisce mai. La natura è permeata dalla ciclicità. In realtà per me non esiste fine, siamo solo noi che decidiamo di porre l’accento su un punto od un altro e decretiamo la fine. Io credo che alla fine di ogni strada ce ne sia sempre un’altra da prendere, questo è il messaggio che volevo esprimere: confrontarsi con l’eternità.
Per Where the Spirit ti sei avvalso di uno Steinway B, suonato presso gli studi di registrazione Officina Sonora del Bigallo, e hai optato per degli arrangiamenti orchestrali e di archi curati da Michiel Mensingh. Come hai scelto il team con il quale lavorare?
Ho seguito l’istinto, ovviamente guidato da situazioni ambientali. Vivo tra l’Olanda e la Toscana. Per la scelta dello studio ho pensato che la tranquillità delle colline toscane si confaceva meglio rispetto all’energia di Amsterdam, per cui ho ricercato uno studio in zona e mi sono innamorato dello Steinway al primo tocco. Michiel è un mio amico, vive praticamente nell’appartamento sopra al mio ad Amsterdam e lo avevo chiamato a darmi alcuni suggerimenti sui pezzi che avevo composto. E’ stato grazie alla sua intuizione ed al suo aiuto che siamo riusciti in questa collaborazione.
Ultima domanda: Stefano Rachini lo Spirito è riuscito a trovarlo? E se sì, in che modo e dove?
Per me lo Spirito è ricerca e presenza. E’ l’ineffabile, è l’immanente. Così definito, l’ho trovato e non l’ho trovato, esiste e non esiste. E’ la rottura della separazione, dove la visione dicotomica della realtà sfuma in un tutto omnicomprensivo. Più uso parole incomprensibili per descriverlo, più mi avvicino alla sua comprensione. In che modo lo cerco? Con la calma, con la meditazione. Uso un metodo razionale per sondare l’irrazionale, e viceversa. E con questo spero di aver confuso abbastanza.
Ascolta Where the Spirit di Stefano Rachini su Spotify
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