Storia del Boogie Woogie: le radici, gli stili e gli artisti

Una famosa canzone di Paolo Conte, Boogie, descrive con toni deformati e espressionisti una balera di Boogie e i suoi zoomorfi ballerini; le Baccara, nel ’77, impazzavano con la loro hit Yes Sir, I Can Boogie e mia zia, nel Dopoguerra, appena poteva ballava a piedi nudi un Boogie scatenato. Il Boogie è tutto questo, ma, anche, ben altro.

Il Boogie Woogie è, in origine, un genere prettamente pianistico e che trova le sue origini verso la fine dell’800 e che attraversa mezzo secolo di traversie fino a giungere agli anni Cinquanta, alla soglia del rock’n’roll. Ripercorrere la Storia del Boogie ci darà modo di scoprire le sue radici, conoscere i suoi contorni stilistici, incontrare i suoi artisti e seguire il suo sviluppo: e completare il discorso sul pianoforte afroamericano iniziato alcuni articoli fa 

La storia del Boogie Woogie è legata a doppio filo alla Storia del Ragtime: come per il verbo di Scott Joplin, affonda le sue radici a metà ‘800, nelle chiassose taverne per operai di colore che affollano i cantieri del MidWest. Ma, mentre il primo sposa la via della forma, dello studio e della scrittura, il secondo sceglie la spontaneità, il casino organizzato e il ballo… Per finire anch’esso, però – e proprio come il suo fratello “educato” – con l’influenzare tutto il panorama musicale del Novecento.

Piano e forte

Nelle rumorose serate nei cantieri del Midwest, il pianista scopre di poter sostituire con efficacia i troppo fievoli fiddle e banjo, e replicarne le funzioni: la mano sinistra si incarica del ritmo, come il banjo, mentre la destra crea melodie, temi e improvvisazioni, sostituendosi al fiddle. Essere allegri, mossi, vivaci, e pestare i tasti in modo violento, ipnotico, ripetitivo: l’unica via per intrattenere gli scatenati ospiti delle taverne, e coprire quel frastuono che tanto sa di disperazione, sudore e alcool.

Nel giro di pochi decenni, da un generico “sferragliare” di tastiera (il Barrelhouse) si giunge a uno stile che, pur mantenendo alto il livello di estemporaneità, variazioni e improvvisazioni, di pulsazione e ballabilità, incontra un certo grado di forma e di disciplina. Dal vecchio Barrelhouse, insomma, si arriva al più noto e redditizio Boogie. Ma cos’è, esattamente, il Boogie?

Qualche definizione sulla Storia del Boogie Woogie

Rispetto al Ragtime, il Boogie è – nella celebre definizione di Roy Carew – “un figlioccio che non ha voluto studiare”: genere essenzialmente strumentale, svogliato e caciarone, conserva la dialettica rag delle due mani, ma li piega a una dimensione ritmica serrata, a suo modo virtuosistica, poco attenta all’aspetto melodico e armonico, e soprattutto rumorosa. Perché il Boogie serve a ballare: ne è testimonianza Pine Top’s Boogie Woogie, in cui l’autore – fra una svisata e l’altra – dà precise istruzioni ai ballerini sui passi da eseguire.

Nella storia del Boogie Woogie, la questione etimologica è parecchio intricata. L’ipotesi più seria sostiene che Boogie-woogie sia una derivazione dal bantu “mbuki-mvuki”, che significa “ballare selvaggiamente fino all’estasi”. Di sicuro a fine Ottocento il termine è già in uso: i bordelli sono chiamati anche “Boogie houses”, e l’espressione gergale “to pitch a Boogie” equivale a “organizzare una festa”, o anche a un qualcosa di più scabroso. Il bluesman texano Blind Lemon Jefferson, per indicare i walking bass della sua chitarra, userà la simile formula “booga-rooga” (Booger Rooger blues, 1926). La locuzione completa “Boogie woogie” è però fissata per la prima volta nel dicembre 1928 dalla storica incisione Pine Top’s Boogie Woogie di Clarence “Pine Top” Smith.

Come funziona il Boogie Woogie

La lista di Tennison

Poche volte capita la fortuna di definire completamente un genere dall’ascolto di un solo brano, e per giunta avvalendosi di una delle incisioni più remote… Ma nella storia del Boogie questo è possibile. Lo strumentale Honky Tonk Train Blues (1927) di Meade “Lux” Lewis risponde pienamente, e in modo potente, ai dieci marcatori del Boogie stilati dal musicologo statunitense John Tennison:

  1. basso ostinato (“walking bass”);
  2. pulsazione swing;
  3. sincope;
  4. contrasto ritmico fra le due mani (poliritmia);
  5. contrappunto fra la linea della mano destra e quella della sinistra;
  6. effetti percussivi;
  7. forte senso di ancoramento tonale;
  8. progressione armonica che segue spesso la 12 bars form, con l’appoggio ad accordi di I, IV e V grado di dominante;
  9. tempo rapido, adatto alla danza;
  10. uso di specifici intervalli, specialmente nelle figure di basso.

Molti caratteri – come la forma-blues, la sincope, l’effetto percussivo, lo swing – non sono esclusivi del Boogie, ma qui acquistano una nuova dimensione: vuoi per lo strumento utilizzato, così nuovo per il musicista di colore, vuoi per il modo del tutto particolare, “africaneggiante”, con cui il pianista gioca con le mani.

Ma torniamo al pertinente paragone col Ragtime. Il Ragtime usa una struttura formale derivata dalla marcia, riduce l’improvvisazione al minimo, e riproduce sulla tastiera, quasi visivamente, i concetti di “melodia” e “armonia”: la mano destra esegue la linea melodica, e la sinistra fornisce il necessario substrato accordale. Il Boogie, invece, si appoggia alla struttura blues, accentua i momenti di improvvisazione, lo swing e la sincope, e gestisce l’esecuzione simultanea delle linee in un modo che porta a percepire le due parti come indipendenti: è proprio dalla frizione, dallo scontro fra le due figure, che nasce il caratteristico incedere del Boogie.

La lista di Tennison manca di un’abitudine molto usata nel Boogie, e cioè il ricorso al break: caratteristica utile ad accordare un attimo di riposo alla esausta mano sinistra del pianista, e concedere il tempo per eccitare il pubblico con qualche battuta.

Oltre agli ingredienti tecnici del Boogie, sono altrettanto importanti quelli, per così dire, “emotivi”: la suggestione data dall’incedere ritmico del treno – così importante nell’immaginario dei neri, e di cui lo stile ossessivo del Boogie sembra essere il calco – e una tensione sensuale, quasi orgiastica, che percorre come un fremito tutta la musica.

Il basso che cammina

Non occorre essere esperti, o aver mandato a memoria Tennison, per capire immediatamente, a orecchio, che un certo pezzo è un Boogie: basta avvertire quello che i tecnici hanno denominato “walking bass”… Quella pulsazione continua, evidente, ballabile e orecchiabile, che “dà il ritmo”: un basso ostinato di otto note per battuta a tempo di croma (detto “eight to the bar”), ripetuto dalla mano sinistra in modo incalzante per tutta la durata del brano; una progressione libera dal rigido ritmo di marcia del Ragtime, e ricca di swing, che accompagna la successione armonica, le variazioni della melodia e l’eventuale canto.

Il walking bass caratterizza tutta la storia del Boogie ed è il suo sale, il motivo del suo immediato appeal, ma anche la Stele di Rosetta per dedurne la storia e l’evoluzione. Spostiamoci, allora, a Marshall, Texas: e, preferibilmente, a bordo dello sferragliante vagone di un treno.

La storia del Boogie Woogie

Marshall, Texas, 16 Giugno 1865

Lead Belly sostiene di aver ascoltato un piano Boogie nel 1899 nell’area di Caddo Lake (Texas nordest), e dopo una manciata di mesi a pochi chilometri di distanza (Shreveport, Louisiana); Eubie Blake fissa il ricordo nel 1896, sempre nella stessa zona; T-Bone Walker, invece, giura di averlo sentito in una chiesa di Dallas nel 1913. Sembra quindi che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, e soprattutto nel nord-est del Texas, il Boogie pianistico fosse una realtà abbastanza consolidata, comune sia al campo sacro che a quello profano.

Indicazioni circostanziate e affidabili, quindi: ma oltre cui non pare possibile andare. Eppure qualcuno ha voluto strafare… Il solito John Tennison: devoto ed enciclopedico specialista, ha proposto che sulla carta di identità del Boogie sia stampato a chiare lettere: “Nato a Marshall, Texas, il 16 Giugno 1865”.

La data, va da sé, è una provocazione: il 16 Giugno 1865 – noto negli Stati Uniti come “Juneteenth” – è il giorno in cui è comunicato ufficialmente a tutto il Texas che la Guerra Civile è finita, e che gli schiavi debbano essere definitivamente liberati. È solo da questo momento che gli afroamericani del Texas possono dedicarsi in modo professionale alla musica, e sviluppare le proprie idee: intuizioni fra cui, sicuramente, si agita anche il Boogie.

Il Boogie, secondo uno schema più realistico, nasce in embrione nel decennio compreso fra il 1870 e il 1880, con i cosiddetti Barrelhouse e Fast Western Piano: cresce e completa la sua infanzia fra il 1880 e il 1900; e nel 900 attraversa una fase di maturazione stilistica che – in parallelo alla sua diffusione geografica – continua ininterrottamente sino al 1950 circa.

Da Marshall al Texas…

Come dicevamo, il luogo di nascita del Boogie sarebbe la cittadina texana di Marshall: sede amministrativa della contea di Harrison, e parte della più ampia zona boscosa di Piney Woods: una città che è anche il centro nevralgico della Texas & Pacific Railroad, la compagnia che sta posando la prima linea ferrata del Texas. Per individuare il “punto zero” geografico della storia del Boogie, Tennison ha combinato e incrociato quattro fattori, che trovano tutti corrispondenza – nel medesimo periodo storico – proprio in questo borgo:

  • La contea di Harrison ha la più alta concentrazione di lavoratori afroamericani di tutto il Texas;
  • Le testimonianze di alcuni testimoni oculari, raccolte attorno agli anni Trenta – ma riferite a circa cinquanta-sessant’anni prima – situano nella zona di Piney Woods le prime memorie del Fast Western Piano, l’antenato del Boogie;
  • La relazione fra il sound e le figure ritmiche del Fast Western, e il rumore sferragliante dei treni a vapore, che iniziano a percorrere il Texas proprio in questa zona (con Marshall come centro nevralgico) e in questi anni;
  • Quarto e ultimo elemento: il walking bass boogie più essenziale e semplice di cui ci sia memoria è testimoniato proprio a Marshall.

Da qui, come cerchi d’acqua generati dalla caduta di un sasso in uno stagno, i pattern di basso guadagnano in complessità man mano che la distanza da Marshall aumenta e gli anni scorrono.

Due indizi non fanno una prova, ma quattro ci si avvicinano molto: ben venga, allora, la provocazione di Tennison. Non a caso, la commissione cittadina di Marshall ha deciso di seguire la sua intuizione, e ha insignito ufficialmente il borgo del titolo di “birthplace of Boogie woogie”.

Primizie Boogie

A fronte degli sforzi dei musicologi, i documenti ufficiali narrano una storia del Boogie molto più recente: un racconto in cui il termine “Boogie” inizia a come semplice suffisso da appiccicare al titolo di una composizione, senza che necessariamente accolga elementi tipici.

Il primo spartito riportante il termine “Boogie” è del 1901 (“Hoogie Boogie Dance”, di Mose Gumble), mentre la prima apparizione della parola “Boogie” a proposito di un’incisione discografica avviene con “That Synchopated Boogie Boo”, un cilindro Edison del 1913 a nome “The American Quartet”.

Dopo questi episodi – importanti solamente dal punto di vista statistico – arriva il primo caso riferibile al Boogie in modo corretto. “The Weary Blues” (1915), a firma del ragtimer Artie Matthews, è il primo spartito – a onta del nome! – davvero Boogie, ed è costruito su un chiaro walking bass: una figura ritmica che si ritroverà, praticamente invariata, in un remake eseguito nel 1919 dai Louisiana Five, che si candida così come più antico brano registrato a presentare chiari connotati Boogie.

…E dal Texas a Chicago

Il piano Boogie, intanto, negli anni Venti segue le rotte dell’emigrazione, e varca i confini del Texas per espandersi a Sud e a Est, sui battelli fluviali e a New Orleans, nei saloon di Memphis e nei bar di Kansas City. È però Chicago, più di tutte le altre metropoli, a diventarne il principale centro di sviluppo: tutto merito di alcuni compositori giunti in città in cerca di fortuna, e degli artisti vaudeville, che portano nella vivissima Windy City gli umori ascoltati nelle tournée in Texas.

I Thomas sono la prima “famiglia Boogie” della storia: al primogenito, George Washington Thomas Jr, seguono la sorella Beulah, che diventerà nota nell’ambito del Classic Blues come Sippie Wallace, e il piccolo genio Hersal Thomas (1909-’26).

I Thomas, nati a Little Rock, Arkansas e cresciuti a Houston, Texas, hanno ascoltato il Boogie dai pianisti texani, assorbendone i caratteri, e diventando a loro volta abilissimi esecutori e autori. George diventa famoso con “New Orleans Hot Scop Blues” (1916), e unanimemente riconosciuto come il primo brano Boogie dalla forma moderna, completa e riconoscibile.

Il passo definitivo avviene nel 1923, col loro arrivo a Chicago. Dalla penna dei due fratelli escono The Fives e The Rocks, incisi nel febbraio 1923 e autentici capisaldi della storia del Boogie: il primo mette in mostra una varietà di figure ritmiche davvero elevata e fantasiosa, mentre il secondo è il primo boogie a usare la struttura blues in 12 battute.

La corrente inaugurata dai Thomas trova i primi seguaci in tre musicisti, tutti affiliati del circuito toba, che dopo aver percorso il Midwest in lungo e in largo, negli anni Venti approdano a Chicago per tentare fortuna: Jimmy Blythe, da Louisville (“Chicago Stomp”), Charles “Cow cow” Davenport da Anniston, Alabama  (“Cow Cow Blues”) e Clarence “Pine Top” Smith di Troy, Alabama (1904-’29).

Il maestro indiscusso di questa fase è Jimmy Yancey (1894-1951). Nato a Chicago, intraprende fin da giovanissimo la trafila di cantante e ballerino di vaudeville, per poi passare al piano; in poco tempo acquisisce una padronanza della tastiera entusiasmante, e diventa il pianista più richiesto nel circuito dei rent parties: un autentico capofila, l’unico dei pianisti del Boogie arcaico a suonare su tempi relativamente lenti.

Il debutto in società

Tutti gli anni Trenta vedono questo stile crescere sempre più in popolarità e considerazione… Fino a giungere alla consacrazione ufficiale: caso anomalo, davvero unico, per una musica popolare. Il 23 dicembre 1938 John Hammond, impresario e fenomenale talent scout della Columbia, organizza una serata al Carnegie Hall di New York, From Spirituals to Swing: l’intenzione è di dare all’elegante platea bianca un compendio della musica afroamericana, dalle origini al presente. Assieme ai grandi jazzisti Benny Goodman e Count Basie, al bluesman Big Billy Broonzy, e a vari gruppi gospel, spicca la presenza del trio di pianisti Johnson-Ammons-Lewis, invitato espressamente per “presentare” il Boogie al pubblico.

Pete Johnson (1904-’67) è originario di Kansas City, e con lo shouter Big Joe Turner ha formato un fortunato sodalizio durato tredici anni; Albert Ammons (1907-’49, sua la famosissima Swanee River Boogie) e Meade “Lux” Lewis (1905-’64, autore di Honky Tonk Train Blues) sono invece chicagoani. Il trio ottiene un’accoglienza straordinaria: da questo momento troveranno dimora artistica al Cafè Society di New York, dove si esibiranno in spettacoli sofisticati e ad alto tasso spettacolare, suonando da soli, in coppia o in terzetto.

Tutti quanti voglion fare il Boogie!

Il Boogie si trova improvvisamente catapultato all’attenzione del pubblico generalista, rivoluzionando in una sfrenata craze collettiva, abbigliamento, danze e l’intero lessico ludico della spensierata middle class urbana. Lo swing delle orchestre da ballo, il pop e anche la musica classica ne sono contaminate: Benny Goodman, nel ’37, incide “Roll ‘em”, Tommy Dorsey nel ’38 ottiene un buon successo con la cover orchestrale di “Pine Top’s Boogie Woogie”; fra il 1939 e il ’41 la Will Bradley Orchestra firma una serie di hit Boogie come “Beat me Daddy (Eight to the Bar)”, “Scrub Me Mama With a Boogie Beat” e la superba “Down the Road a-piece”; Glenn Miller, infine, nel 1940 licenzia “Boog It By”.

Per i pianisti dell’ultima ora, come per il “grande vecchio” Yancey, arriva finalmente il tempo di incidere professionalmente, e intascare qualche soldo. Purtroppo, a questi trionfi non può assistere Clarence “Pine Top” Smith (1904-’29): l’autore di “Pine Top’s Boogie Woogie”, l’amico e ispiratore di Ammons e Lewis e – last but nor least – l’uomo a cui la storia del Boogie deve la sua fortuna, è già morto da tempo. Nel 1929, una pallottola sparata durante una rissa l’ha colpito al cranio, schiantandolo al suolo.

Verso il rock’n’roll, e oltre

Durante e subito dopo la Guerra, il Boogie si impone come ambasciatore della musica americana nel mondo, offrendo all’Europa la colonna sonora della ritrovata libertà. In patria, il Boogie cessa intanto di essere un genere autonomo e si scioglie nel vasto mare della musica popolare, influenzandone ogni settore: dal ritmo Boogie – trasportato dai tasti del pianoforte a una piccola formazione orchestrale – nascerà il Jump della West Coast, mentre a Chicago pianisti come Big Maceo, Otis Spann e Pinetop Perkins traghetteranno le svagatezze Boogie all’interno del duro linguaggio del Bar Blues.

E la chitarra? A far saltellare i walking bass sulle corde dello strumento ci ha già pensato, negli anni Trenta, il bluesman texano Lead Belly: nel dopoguerra il country bianco accoglierà la sua lezione allestendo un nuovo stile, prevalentemente chitarristico, il cosiddetto Hillbilly Boogie… Il padre del rockabilly: e, per estensione, dell’intero rock’n’roll.

a cura di Francesco Conti “Chiccoconti”

Fonti

  • EILEEN SOUTHERN, La musica dei neri americani, tr.it.,Milano, Il Saggiatore, 2007
  • GILDO DE STEFANO, Ragtime, jazz e dintorni, Milano, Sugarco Edizioni, 2007
  • PIERO SCARUFFI, Storia del rock – Vol. 1 (Le origini – Gli anni d’oro 1954-1966), Milano, Arcana, 1989
  • PAUL OLIVER, La grande storia del blues, tr.it., Roma, Anthropos Editrice, 1986
  • JOHN TENNISON, Boogie Woogie: its Origin, Subsequent History, and Continuing Development (Internet). Disponibile all’indirizzo: http://nonjohn.com/History%20of%20Boogie%20Woogie.htm