Storia del Ragtime: il “tempo stracciato” fra “La Stangata” e le suonerie

Tutti sappiamo, magari senza rendercene conto, cos’è il Ragtime: anche il meno appassionato ha sentito almeno una volta la colonna sonora de La Stangata, o una suoneria telefonica che riproduce in modo sintetico The Entertainer… Eppure, quanti sanno definire di cosa si tratta, quali sono i suoi contorni stilistici, e quali i suoi artisti? Ripercorrendo la storia del Ragtime scopriremo questo, e molte altre curiosità.

La storia del Ragtime è complessa e articolata, e ricca di sorprese: quello sferragliare sul pianoforte, che ora ci pare qualcosa di allegro, ma anche vago e polveroso, relegato a qualche pubblicità o film, per una ventina d’anni è stato una vera e propria craze, capace di vendere milioni di copie e di impazzare per i salotti e le sale da ballo dell’intero paese.

Ma non solo: è proprio attraverso il Ragtime che il pianoforte degli afroamericani ha conquistato visibilità e spessore, preparandosi a dare corpo a una serie di dialetti musicali – il pianoforte Jazz, e il Boogie – capaci di influenzare a loro volta tutto il panorama musicale del Novecento.

Cos’è il Ragtime

Il Ragtime si presenta come un genere strumentale estroverso, sofisticato, virtuoso, scritto e non improvvisato, fondato su un connubio fra strutture formali e armoniche europee, e l’uso regolare di figurazioni sincopate di origine africana: con una bella sintesi, “una melodia fortemente sincopata sovrapposta a un accompagnamento rigoroso e regolare”.

Se il Ragtime si chiama così (“tempo stracciato”) è proprio a causa della sincope, che dà ai brani un andamento sussultante, e “straccia” la normale scansione degli accenti.

Il Ragtime comprende tre categorie di composizioni: le trascrizioni strumentali di Coon Songs, le versioni in stile di pagine classiche, e le composizioni originali, strumentali o cantate. Nel complesso, quello pianistico è solo una parte del Ragtime, ma è il Ragtime per eccellenza.

Forme e caratteristiche

Dal punto di vista formale, il Ragtime è una composizione multitematica: di solito uno spartito comprende quattro temi melodici differenti (A, B, C e D), ognuno sviluppato su 16 misure, e posizionati e alternati secondo una forma stabile e determinata. Le soluzioni più ricorrenti sono la struttura AABBACCC, AABBCCA e soprattutto AABBACCDD.

Il sistema armonico è di derivazione colta europea, e cioè tonale e temperato, con il ricorso alla classica sequenza tonica-dominante-sottodominante. All’interno della storia del Ragtime, il ritmo di gran lunga più comune è il 2/4 della marcia: più raro il 4/4, e rarissimo il 3/4. All’interno della misura, l’accentazione ripete i canoni europei, con accenti forti in battere, e deboli in levare: nel rag pianistico, la mano sinistra scandisce alternativamente, con ritmo regolare, i tempi forti (nota di basso al primo quarto) e deboli (accordo sul terzo quarto); la destra si muove invece a tempo doppio, con glissando cromatici, tremolii e soprattutto sincopi.

copertina del disco di Scott Joplin, The king of ragtime
Copertina del disco di Scott Joplin, The king of ragtime

La conoscenza che oggi possediamo del fenomeno è data principalmente dai soli spartiti: le registrazioni dell’epoca sono praticamente inesistenti, mentre i rulli per pianola sono condizionati dall’intrinseca meccanicità del mezzo, che non consente la corretta riproduzione del tocco individuale. Difficile quindi capire con che tempo e velocità fossero eseguiti gli spartiti, e se contenessero o meno un certo grado d’improvvisazione.

Non solo pianoforte

Il Ragtime è musica strumentale di concezione prevalentemente pianistica, ma si trova a esser eseguita dalle formazioni più svariate: esiste infatti una vasta produzione di rags per bande (civili e militari), per orchestra sinfonica, per violino e pianoforte, per banjo, per string bands, e quant’altro. È però il ballo – che tramite il cakewalk e il Minstrel aveva originato il Ragtime – a riportare tutto a casa e a rimanere l’ambito privilegiato dei rag. Non si contano, nella storia del Ragtime, le danze e le mode stimolate dalla comparsa del Ragtime, come fox-trot, one-step, e two-steps.

Un repertorio a parte è quello del Ragtime chitarristico. Nel Piedmont si sviluppa una scuola che cerca di riprodurre sulla sei-corde le complesse esecuzioni dei pianisti: il pizzico del pollice esegue le linee di basso, mentre indice e medio danno voce alla melodia. È nato il fingerpicking americano: uno stile che contaminerà tutte le tecniche per chitarra della nazione, giungendo fino alle soglie del rock’n’roll.

Storia del Ragtime

Potrà stupire il fatto che la storia del Ragtime sia guidata da pianisti neri: fino al tardo Ottocento, infatti, il performer di colore si identifica con strumenti come il banjo, la chitarra, e l’armonica… Manufatti di ambito popolare, adatti, per economicità e dimensioni, alle tasche e ai mezzi di qualunque songster. Il pianoforte, invece, memore del ruolo di protagonista affidatogli dal Romanticismo musicale, per buona parte del XIX Secolo resta appannaggio quasi esclusivo delle classi più agiate.

Il pianoforte: dal Barrelhouse al piano-rag

Il pianoforte arriva nelle mani dei musicisti di colore verso gli anni Settanta dell’Ottocento: quando, nei villaggi operai del Midwest, sorgono baracconi adattati a bordelli e spaccio di alcolici (Barrelhouse) dove passano le serate i manovali neri impegnati nella posa delle ferrovie e nei lavori di disboscamento. Qui, fra alcol e fatica, non manca mai l’accompagnamento della chiassosa musica di un pianoforte a poco prezzo: musica che, per traslato, è subito chiamata “Barrelhouse” (o “Fast western piano”).

I pianisti dilettanti, per superare  il frastuono del locale, sono costretti a pestare sui tasti all’inverosimile, in modo battente e insistito: l’impeto ritmico è incalzante, mentre la mano destra tenta con vari artifici di emulare la più sensibile chitarra. Il lirismo vocale, in questo mondo, cede il passo all’elemento percussivo: musica istintiva, quindi, ritmica, chiassosa e febbrile, grondante calore e veemenza.

Le figurazioni estemporanee eseguite da questi dilettanti di colore arrivano alle orecchie dei loro fratelli “colti”: ai figli di quella neonata borghesia nera delle città più grandi e moderne, e che hanno alle spalle anni di studi e di pratica classica.

Questi artisti trasformano la musica prevalentemente improvvisata e spontanea dei Barrelhouse in uno stile – il piano-rag o Ragtime – composto a tavolino, che riecheggia – e vuol riecheggiare – la prassi dei compositori importanti.

Rispetto al coevo e più bastardo Barrelhouse, il piano-rag è musica scritta e formalizzata, che ricorre con costanza all’andamento sincopato: il suo referente immediato non è l’Africa del Delta, ma quei balli europei (come le quadriglie francesi e i two-steps militari) che erano riusciti a insediarsi nel Sud durante la schiavitù, rivisitati alla luce della nuova sensibilità ritmica.

Ed ecco a voi… Il Ragtime!

L’occasione giusta si presenta con la World’s Columbian Exposition di Chicago, del 1893: nella Windy City traboccante di turisti accorrono molti musicisti di colore, per esibirsi nei locali della città e arricchirsi con le mance.

Fra i presenti si notano i nomi di Scott Joplin, Shep Edmonds e Jessie Pickett: tutti pianisti del Sud, che approfittano dell’occasione per farsi conoscere, scambiarsi segreti, e portare al Nord il loro nuovo mood… Il Ragtime.

I primi Ragtime strumentali, alla loro apparizione, sono considerati null’altro che una raccolta di motivi folk: ma l’equivoco dura poco. Il sincopato pianistico, diventa ora adulto e assume la dignità di stile, col definitivo nome di Ragtime: l’esplosione commerciale arriva con la pubblicazione simultanea, nel 1897, di “Harlem Rag” da parte del pianista e compositore Tom Turpin, e di “Mississippi Rag” di William Krell.

Il successo è tale che in poco tempo tutti i generi popolari si colorano di tinte sincopate, e il suffisso “rag” diventa come il prezzemolo: dai pezzi per banda a quelli da ballo, dalle pagine pianistiche a quelle orchestrali, dai pianisti di bordello a quelli di sala, “they all play Ragtime”!

Il Tin Pan Alley Ragtime

L’avvento del Ragtime coincide con l’avvio, su scala industriale, della tecnologia di comunicazione di massa applicata alla musica: l’industria musicale mette presto le mani su questo stile, e fa palate di dollari sfruttando la vendita di rulli per pianole e spartiti.

Le composizioni degli autori di genere, grazie a questi mezzi, valicano i confini regionali, e dilagano per tutta la nazione: del solo Maple Leaf Rag di Joplin, nel 1899 si vendono oltre un milione di spartiti.

Maple Leaf Rag
Maple Leaf Rag

I brani rag, man mano che il successo cresce, suscitano critiche a non finire, e si trovano accusati di essere una musica degenere e immorale, e soprattutto “troppo popolare” e incolta. Ma nulla li può fermare: superate di slancio queste perplessità, la storia del Ragtime prende il volo, e grazie al suo carattere allegro (in sintonia con i Gay Nineties), e “poco blues”, nel primo decennio del XX secolo raggiunge il suo apice.

Il successo del Ragtime è così rilevante che presto si inizia ad appiccicare il vocabolo Ragtime – o il solo prefisso “Rag” – anche a composizioni pop che di sincopato hanno poco o nulla: operazione squisitamente commerciale, e senza alcuna valenza stilistica.

Fra tutti i panni di cui il Ragtime si veste, nulla eguaglia la fortuna delle rag-songs: una forma ibrida derivata dalla coon song, che combina un tema orecchiabile con andamento sincopato e liriche dal tenue contenuto razziale, e che diventa per molto tempo la più importante forma di popular music (“Cuban cakewalk”, “Under the Bamboo Tree” e “When the Band Plays Ragtime”).

La maggior parte del rag commerciali prodotti in questa fase è opera di un gruppo di professionisti newyorkesi, quasi sempre di pelle bianca, e ingaggiati dalle case editrici.

Uno dei più formidabili diffusori del verbo è il bianco Ben Harney: una figura per molti versi misteriosa, la cui memoria si è quasi persa, ma che in questo cambio di secolo è una stella di assoluta grandezza: appare regolarmente al Tony Pastor’s Music Hall e alla Metropolitan Opera House, e all’inizio degli anni Dieci intraprende tournée in tutto il mondo.

Scott Joplin e il Classic Ragtime

Il Rag pianistico per eccellenza, padre di tutte le correnti derivate, è il cosiddetto Classic Ragtime, quello cioè più legato ai canoni della musica colta, per cui la musica è arte da eseguirsi nel pieno rispetto della pagina scritta. Il suo padre e padrone assoluto, e che ha innervato tutta la storia del Ragtime, è Scott Joplin, e i suoi luoghi di nascita e sviluppo sono St. Louis e Sedalia (Missouri).

Chi è Scott Joplin

Scott Joplin
Scott Joplin

Scott Joplin (1867-1917), figlio di uno schiavo affrancato, nasce a Linden, un paesino del Texas, e fin da bambino è immerso nella cultura musicale europea, Wagner in primis: per tutta la vita cercherà di studiare e acculturarsi, nella convinzione che l’unico mezzo per conquistare il rispetto dei bianchi sia l’istruzione.

Nel 1885 si trasferisce a St.Louis, e nel ’93 è a Chicago per l’Esposizione Colombiana: qui, a contatto con altri pianisti, accarezza per la prima volta l’idea di una musica d’arte afroamericana originale. Nel 1894 trasloca a Sedalia, Missouri: nel ’97, ormai sicuro dei propri mezzi, può dar finalmente corpo al suo progetto.

Esordisce con “Original Rags” nel ’99, una sorta di collezione di rags monotematici; la collaborazione con l’editore Stark dà vita a un leggendario sodalizio, di cui “Maple Leaf Rag” (1899) è il primo e straordinario successo: da solo, questo brano frutterà una rendita sufficiente a sostenerlo per tutta la vita.

Le composizioni di questo periodo sono molte, e via via più raffinate: “The Easy Winners” (1901), “The Entertainer” (1902), la rag-opera “A Guest of Honor”, “Bethena” (1905, un rag su tempo di valzer) e l’ambiziosa “The Ragtime Dance”.

L’ideazione di “Treemonisha”, una commedia musicale con libretto, favola allegorica sull’emancipazione, gli ruba infinite energie e capitali: la terminerà solo nel 1911, ma non avrà la soddisfazione di vederla degnamente rappresentata. L’ultimo periodo, segnato dalla malattia (la sifilide), è ricco di altri capolavori, come “Solace”, “Euphonic Sounds” (1909) e “Magnetic Rag” (1914), il suo vertice compositivo.

Le scuole regionali

Al Classic Ragtime si affiancano altre declinazioni meno rigide, spesso a carattere regionale, o in cui lo scarto si limita a semplici ragionamenti di bottega: è il caso dei cosiddetti Raggy-blues, vere e proprie ibridazioni fra blues e rag: ad esempio il celeberrimo “St. Louis blues” del cornettista W.C.Handy, una blues song strutturata su una sezione mutuata dal Rag di 16 misure.

In altri casi, invece, troviamo situazioni maggiormente compromesse con un legame più chiaro con quelle caratteristiche (l’improvvisazione e lo swing) di matrice africana.

A New Orleans, per opera di artisti come Tony Jackson, Jelly Roll Morton , e “Dink” Johnson, si sviluppa un rag per pianoforte intriso di blues – New Orleans Ragtime – in linea con il clima giocoso e variegato di quel calderone multiculturale ante litteram che è la capitale della Louisiana: questi pianisti, a seguito dell’esodo da New Orleans del 1917, porteranno la pratica dell’improvvisazione nella Grande Mela.

Il quartiere newyorchese di Harlem si popola intanto di locali adibiti alla musica: qui, in un’atmosfera di sana rivalità comunitaria, le esecuzioni pianistiche si fanno incandescenti.

Attorno a pianisti nati al Nord, come Eubie Blake e Charles Luckeyth “Luckey” Roberts, il verbo di Joplin si carica di brillantezza e sicurezza tecnica, mentre il ritmo abbandona il bandistico 2/4 a favore del più elastico 4/4: è l’ora dell’Eastern Ragtime, evoluzione virtuosistica del Ragtime Classico, e perfetta espressione del competitivo e modernista clima urbano della grande metropoli.

Contaminazioni: dal Ragtime al jazz

Fino alla Guerra Mondiale il Ragtime impazza per tutta la nazione, contagiando di ritmo e allegria i balli di un’intera generazione: ma, dopo il 1917, la storia del Ragtime sembra andare incontro a un declino rapido e inarrestabile. Nuovi suoni e tendenze vanno ora di moda, e si chiamano jazz, Swing e blues: e del Ragtime nessuno sembra ricordarsi più. In realtà il Ragtime non è scomparso, ma è semplicemente andato incontro al destino che attende tutti i movimenti espressivi, sciogliendosi in quegli stessi stili che negli anni ha incontrato e contaminato.

Al Nord, al seguito di quei musicisti impegnati nei contest strumentali, l’Eastern Ragtime si trasforma nello Stride-piano, il jazz pianistico per eccellenza, esibizionistico, rapido e frizzante.

Lo Stride sarà per molti anni la pietra angolare del jazz pianistico, fino a quando gli sperimentatori degli anni Quaranta (come Bud Powell) svincoleranno la mano sinistra dal compito ritmico per promuoverla a creatrice di contrasti armonici e contrappunti melodici.

Qualcun altro, ma è la minoranza, tenta invece di perpetuare il Ragtime Classico, cercando di rimaner fedele alla scuola di Joplin: è il caso del cosiddetto Advanced Ragtime. I nomi più in evidenza sono Charles H. Thompson, Arthur Marshall, James Scott e il meticcio pellerossa-ispanico-afroamericano Louis Chauvin.

Estrema propaggine del Ragtime pianistico è il Novelty Piano, musica scritta a carattere virtuosistico, un dialetto del Ragtime accelerato, umoristico, talora macchiettistico: lo caratterizzano la mancata ricerca di melodia (sostituita da giochini di diteggiatura ripetuti e manipolati), e una certa modernità armonica, che riecheggia le innovazioni dei tardoromantici. Questo stile, diffuso negli anni Venti, ha come indiscusso protagonista il bianco “Zez” Confrey.

Cade l’oblio

Dopo il ’20 il Ragtime vero e proprio sparisce dalla scena: qualche complesso persiste a proporre un repertorio di vecchi rags, ma sono mosche bianche. La musicologia se ne dimentica, o nel migliore dei casi offre interpretazioni parziali e imprecise.

Il Ragtime soffre di un’interruzione nella prassi esecutiva di alcuni decenni: gli spartiti, i rulli e i dischi che hanno divertito una generazione sono messi in soffitta, e nessuno – tranne i produttori di cartoon – sembra più ricordarsene; compresi i neri, che di quel genere sono stati i protagonisti, e che ora hanno orecchie solo per il blues e il jazz. Bisognerà attendere più di cinquant’anni, e la colonna sonora del film “La Stangata” (1974), perché il Ragtime torni a far parlar di sé, e con grande scalpore.

Il Ragtime – dopo questo breve periodo di gloria – cade di nuovo, e inspiegabilmente, nel dimenticatoio. Stessa cosa avviene per gli studi critici: ad oggi, per trovare un testo che si occupi approfonditamente della storia del Ragtime, dobbiamo riferirci ancora al fondamentale saggio di Rudi Blesh, “They All Played Ragtime”, datato 1971.

Sociologia del Ragtime

Torniamo, in conclusione, al tema con cui avevamo iniziato: il Ragtime come prassi compositiva nuova, che si propone come originale punto d’incontro fra lo stile afroamericano e la norma colta europea: un risultato che non nasce casualmente, ma che deve molto alla ricerca e all’opera tenace di un gruppo di musicisti.

Scott Joplin, piano rags
Scott Joplin, piano rags

Questi artisti accolgono un bisogno assai diffuso fra la borghesia di colore, e lo trasformano in una forma innovativa: assorbono, cioè, la smania di assimilazione della borghesia cittadina e la trasfigurano in un genere rivoluzionario.

La tradizione scritturale europea appare il modo migliore per proporre, sotto l’ombrello della rispettabilità, valori ed elementi stilistici della madrepatria Africa: si cerca, cioè, di dare consapevolezza d’arte “alta” a un materiale folclorico “basso”. Ancora una volta, è Joplin a rappresentare perfettamente lo spirito che guida la nascita e la storia del Ragtime: Scott è il figlio di uno schiavo affrancato, studia musica classica, ed è convinto che l’istruzione sia l’unico mezzo per conquistare il rispetto dei bianchi.

Da un punto di vista sociologico, il Ragtime incarna il tentativo di fuga del musicista nero dal suo passato, verso un ineccepibile ideale di perfezione puritana. Ma, da un’altra ottica, può apparire come una versione nera dell’ottimismo della marcia bianca di Sousa e della brillante eleganza del ballo creolo di Gottshalk: le sonorità sono dure e lucide, e la marzialità del ritmo rispecchia quella nuova umanità, moderna e meccanica, che va popolando gli Stati Uniti, e di cui i neri stanno sperimentando le stridenti contraddizioni.

A onta degli oppositori di entrambi gli schieramenti, il Ragtime si impone, e imprime una direzione nuova alla storia della musica di colore: ma è solo col recupero della sua radice popolare, il blues, che questo diventa possibile. E siamo solo all’inizio: ben presto, i caratteri “selvaggi” della tradizione africana – nascosti dalla mediazione scritturale – torneranno a farsi sentire, rinnovando e rinvigorendo l’indispensabile colloquio con le fonti tradizionali.

L’amalgama con i modi blues, non a caso, si verifica proprio in quei luoghi – New Orleans e New York – dove la fusione sociale fra il mondo dei bianchi/creoli e quello dei neri inizia a prender corpo, e a generare forme nuove e rivoluzionarie.

Il Ragtime, grazie a questo, diventa non solo un linguaggio capace di rispecchiare l’ottimismo dei Gay Nineties, ma anche il primo tentativo di creare una musica scritta, autenticamente popolare e afroamericana.

Cosa che il jazz riuscirà a fare in modo più compiuto e duraturo: ma cui il Ragtime avrà dato un impulso fondamentale, e non altrimenti sostituibile.

a cura di Francesco Conti “Chiccoconti”

Fonti

  • EILEEN SOUTHERN, La musica dei neri americani, tr.it.,Milano, Il Saggiatore, 2007
  • GILDO DE STEFANO, Ragtime, jazz e dintorni, Milano, Sugarco Edizioni, 2007
  • JOHN TASKER HOWARD, GEORGE KENT BELLOWS, Breve storia della musica in America, tr.it., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963
  • GUNTHER SCHULLER, Il Jazz – Il periodo classico – Gli Anni Venti, tr.it., Torino, EDT, 1996