Vi proponiamo oggi un excursus sui supporti musicali utilizzati per diffondere e distribuire la musica: dalla carta, ai piano rolls, al vinile, al cd… Ecco una breve storia
Il commercio e la fruizione della musica si snodano attraverso due percorsi, complementari e continuamente intersecati. Da una parte la “diffusione” (e, cioè, la trasmissione organizzata a una vasta platea di utenti), e dall’altra la “distribuzione”. Inizieremo questo excursus dalla “distribuzione della musica”: il complesso delle varie tecniche e modalità di registrazione di brani musicali su idonei supporti musicali, atti alla vendita al dettaglio per la riproduzione domestica.
- Editoria Musicale
- Supporti Musicali analogici
- Supporti musicali: dall’analogico al digitale
- La duplicazione tecnica
- Fonti
Editoria musicale
Il primo dei supporti musicali utilizzato per la distribuzione organizzata della musica è, analogamente a quanto avviene per la letteratura sacra e profana, la carta: dai codici miniati delle abbazie medievali si giunge, un passo dopo l’altro, alla stampa in serie degli spartiti… Che, da pratica artigianale, gestita in modo estemporaneo da fabbricanti di strumenti, acquista con tempo una propria dignità e autonomia economica.
I supporti musicali: La carta, sheet music

Nella prima metà dell’Ottocento, col trascorrere degli anni, e l’ampliarsi della platea medio-borghese, l’editoria musicale si trasforma in un’attività economicamente remunerativa. Le tirature della cosiddetta “sheet music” (partiture sia di singoli brani, che di raccolte e antologie – sacre o profane) sono molto alte, e negli Stati Uniti in alcuni casi raggiungono la ragguardevole cifra di mezzo milione di copie… Ma la maggior parte delle canzoni è ancora trasmessa per via indiretta, grazie alle performance itineranti, alle opere liriche e al Minstrel Show.
Il vero trionfo dell’editoria musicale avviene negli ultimi due decenni del Secolo: sono le affollate strade di New York – e, in particolare, il quadrilatero argutamente denominato “Tin Pan Alley” – a dare i natali alla prima catena di produzione organizzata e professionalmente integrata della storia.
Piano rolls
Accanto alla tradizionale stampa e vendita di partiture, in questo scorcio di secolo le case editrici sono impegnate anche nel commercio dei rulli (piano rolls) per pianola: questo mezzo ripete “in grande”, su una pianola attrezzata, quanto avviene nei carillon domestici, ed è perfezionato dall’americano E.S.Votey, che riprende e adatta i brevetti degli organetti a manovella dei suonatori ambulanti. I rolls sono rotoli di carta perforata: il congegno tracciante, quando attraversa un foro, mette in moto i martelletti della pianola; la posizione della fessura sulla carta indica la nota, mentre la lunghezza del foro ne determina la durata.
I rulli “di musica leggera” agiscono solamente sui sessantacinque tasti centrali dello strumento, non riproducono il tocco del pianista e del pedale, e non hanno una velocità prestabilita; Invece i rulli “di lusso” sono capaci di rendere fedelmente ogni dettaglio dell’esecuzione, e sono riservati alle partiture classiche.
I rulli rappresentano il primo tentativo di riprodurre automaticamente la musica, e non solo di raccogliere e tramandare istruzioni. In poche parole, non occorre – come per le partiture – essere a conoscenza di un linguaggio specifico (la notazione musicale) o di una competenza strumentale, ma è sufficiente procurarsi il congegno idoneo.
A patto, ovviamente, di corrispondere a qualcun altro (in questo caso, l’editore) un’adeguata cifra: è appena iniziata l’era del music business.
Supporti Musicali analogici
Perché si compia un ulteriore passo in avanti nella distribuzione della musica, occorre superare la semplice trascrizione grafica dei suoni, e tentare una loro conversione in traccia fisica. Il flusso sonoro, in sintesi, è trasformato in una “analoga” traccia di forma sinusoidale, da fissare su un supporto stampato in serie, riproducibile automaticamente: si apre l’era dei cosiddetti “supporti analogici”.
Il fonografo a cilindri
Dopo gli esperimenti del 1857 di Scott de Martinville, vent’anni più tardi, nel 1878, Thomas A. Edison realizza il primo supporto musicale analogico della storia il fonografo: le vibrazioni dei suoni, catturate da un microfono rudimentale (una membrana di carta), passano attraverso un pennino, che incide la sinusoide sonora su un piccolo “barattolo” ricoperto di carta stagnola.
Edison pensa di usare la sua creazione per coadiuvare il lavoro d’ufficio o creare primitivi audio-libri per ciechi, ma è dagli editori di musica che arriva il maggior interesse: ed è così che, nel 1888, dai cilindri di carta stagnola si passa ai più evoluti cilindri di cera. I difetti, ovviamente, non mancano. Una bassissima resistenza all’usura meccanica, poco spazio (non più di un paio di minuti di musica) e alti costi di produzione; ma, dalla loro, hanno la possibilità di essere “rasati” (la cera è malleabile), e nuovamente incisi.
Sui primi cilindri Edison trovano posto brevi canzoni, filastrocche per bambini, gag comiche e arie d’opera. Enrico Caruso, con le vendite milionarie dell’aria “Vesti la giubba” (1902, 1904 e 1907), tratta da “I pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, inaugura una carriera commerciale straordinaria, e diventa il primo divo musicale dell’era moderna, oggetto di un’adorazione di massa incondizionata, paragonabile a quella di un’odierna rockstar.
I cilindri sono i re del mercato di questo primo stralcio di Novecento: ma già poco prima della Prima Guerra Mondiale, nel 1912, la Columbia trasferisce la produzione in catena sui più moderni dischi. Edison si arrenderà solo nel 1929, schiacciato dall’inconfutabile successo delle gommalacche: il suo fonografo – convertito in dittafono – continuerà a sopravvivere per un’altra ventina d’anni, prima di essere soppiantato dalle registrazioni su nastro magnetico.
Dischi: ebanite, gommalacca e vinile
Il più diretto antenato del disco nasce nel 1887. Emile Berliner – ingegnere tedesco, poi naturalizzato americano, fuoriuscito dai laboratori telefonici Bell – crea un dispositivo piatto in ebanite di 7 pollici: la sinusoide sonora è impressa con un solco a spirale, che procede dall’esterno verso l’interno, ed è letta da una puntina in acciaio sostenuta da un braccio snodato. Il grammofono è mosso manualmente da una manovella, e gira a una velocità di circa 55 giri/minuto. Molto simile all’attuale disco di vinile, il disco in ebanite (Novembre 1894) favorisce un’agevole stampa in serie e – rispetto al cilindro di cera – garantisce una durata nel tempo molto più alta: ma presenta una qualità sonora pessima.
Nel 1908 la Columbia risolve questi problemi sostituendo l’ebanite con la gommalacca. I dischi di gommalacca sono supporti pesanti e fragili, incisi su due lati, di diametro di 10” o 12 e ruotano a velocità comprese fra 74 e 82 giri/minuto. Ogni disco contiene un brano per lato (con durate massime di 3 o 5 minuti). Nel 1925 ai grammofoni è applicato un motorino elettrico, che rende obsoleta la manovella e permette di standardizzare la velocità a 78 giri.
Quasi in contemporanea sono inventate le valvole termoioniche: questi sistemi consentono l’amplificazione e la restituzione elettronica (e non più meccanica) del suono, e una riproduzione più vicina al reale… Una vera manna dal cielo. È appena nata la moderna industria del disco: la distribuzione della musica diventa un fenomeno industriale a tutti gli effetti.
L’avvento del cinema sonoro induce i laboratori di Hollywood a studiare sistemi per garantire una perfetta sincronizzazione audio-video. Nel 1926 la Warner Bros. realizza il rivoluzionario “Vitaphone”: un grosso disco in vinile (16 pollici), da usare per la gestione della traccia sonora dei film. Il vinile – più leggero e flessibile della gommalacca – permette di incidere un solco più piccolo (il cosiddetto “microsolco”): caratteristica che, unitamente alla minore velocità di rotazione (33 giri e 1/3 al minuto), porta alla realizzazione dischi con una capacità di 23 minuti per lato: di durata identica, cioè, a quella di un rullo di pellicola cinematografica.
Dischi: 33 e 45 giri, EP e Q Disc, mono e stereo
Grazie alla Rca-Victor e alla Columbia, nel 1930, l’applicazione è trasportata nel mondo della musica commerciale, ma è subito messa in crisi dalla Depressione. Bisognerà attendere il Dopoguerra e il 1948 perché il disco a vinile a 33 giri (il long playing, ora ridotto a 12 pollici di diametro) inizi la sua scalata. Una vittoria che si consumerà ai danni del “fratello in gommalacca”, ma non senza aver prima affrontato un’altra battaglia.
Nel 1949 la Rca lancia il 45 giri in vinile (7 pollici), in grado di contenere su ogni lato una canzone – il “singolo” – della durata media di 4 minuti: nelle intenzioni dell’azienda, si tratterebbe di sostituire il superato 78 giri Columbia con un formato dal brevetto esclusivo, non compatibile con i lettori standard di long playing. Nel 1950 le due case firmano l’armistizio, e i brevetti sono integrati in macchinari universali: al long playing sono destinate le miscellanee o i lavori di musica classica e jazz, mentre il 45 giri diventa il formato d’elezione dei jukebox e dei giradischi portatili a basso costo (i “mangiadischi”) e, per estensione, del pop e del rock’n’roll.
Alcuni singoli sono inoltre rilasciati nel formato a 10 e 12 pollici, e contengono dai tre ai quattro pezzi: se girano a 45 giri allora avremo un “Extended Play” (anche detto “maxi singolo” o, più sinteticamente, “EP”); se, invece, a 33, ci troveremo davanti a un “Q Disc”, invenzione più recente e tutta italiana.
Con i formati-disco ormai stabilizzati su due-tre taglie, gli sforzi dell’industria si concentrano sulla qualità sonora e sulla creazione di una credibile ricostruzione spaziale, che imiti il meccanismo bilaterale del senso dell’udito. Questo intento – già allo studio a fine Ottocento – è raggiunto compiutamente nel dopoguerra prima con la stereofonia (due canali separati), e poi con la quadrifonia. La quadrifonia rappresenta l’ultima tappa evolutiva del disco: un prodotto che ancora oggi, nonostante l’affermazione del cd, continua ad avere i suoi accaniti sostenitori e la sua nicchia di mercato (seppur con tirature limitate, e non per tutti i titoli).
Nastri magnetici
I primi tentativi di sfruttare il magnetismo come tecnica di incisione sonora risalgono a fine Ottocento, ma bisogna attendere gli anni Trenta perché la tedesca Basf realizzi il primo nastro magnetico. I suoni sono convertiti in un segnale elettrico modulato che, tramite una testina di registrazione, è impresso magneticamente su un sottile nastro di materiale plastico ricoperto da ossido di ferro; col processo inverso, il magnetofono trasforma la traccia magnetica in suono.
I nastri sono prodotti in varie misure e diverse velocità di scorrimento, e sono confezionati in modi differenti: le bobine aperte e gli apparecchi professionali soddisfano le esigenze specialistiche, mentre l’utilizzo domestico è appannaggio del lettore a bobine casalingo… Ma ancora non basta: nel 1963 i laboratori Philips danno alla luce il primo prototipo di musicassetta. In una piccola struttura in plastica sono alloggiate due minute bobine: il nastro presenta un’altezza ridotta (3,81 mm), ed è registrabile (o pre-inciso) su due tracce separate, e scorre alla velocità di 4,76 cm/sec. Terminata la lettura di un lato, si ruota la cassetta, e si passa all’ascolto dell’altra facciata.
Passano quattro anni e nel 1966 è prodotto un formato pensato ad hoc per la riproduzione in auto: lo Stereo8. Qui il nastro è un anello senza fine, e quindi non occorre ruotare il supporto: la stessa cartuccia, inoltre, proprio grazie all’elevato spessore del nastro, può contenere quattro diversi programmi, tutti in stereofonia.
Dopo anni di tentativi e correzioni, nel 1972 è commercializzato il primo registratore/riproduttore a basso costo di musicassette, con durate complessive di 46, 60, 90 e 120 minuti. Le case discografiche, oltre che su disco, iniziano a stampare il proprio catalogo anche su cassetta: supporti poco costosi, non ingombranti, resistenti e di facile trasporto, ideali per l’ascolto in automobile. Il nastro è fragile e soggetto a smagnetizzazione, e di debole qualità sonora… Ma ha una qualità unica: può essere inciso, cancellato e nuovamente registrato con un semplice apparecchio casalingo. Il sogno della duplicazione artigianale della musica irrompe brutalmente sulla scena: e, come inevitabili corollari, la creazione di copie pirata e di compilation personali su cassette vergini.
Nel 1979, l’invenzione del walkman modifica definitivamente le prassi di ascolto… Da fatto comunitario, legato a luoghi specifici o attrezzati, la fruizione della musica diventa libera nello spazio e nel tempo: e l’utente, per la prima volta nella storia, si trova ad agire isolato, immerso in una bolla sonora avulsa dall’ambiente circostante.
Dopo il crollo dello Stereo8 – andato in disuso già verso il 1975, e tolto definitivamente dalla produzione nel 1983 – alla fine degli anni Novanta tocca alla piccola musicassetta, che per un ventennio ha letteralmente spadroneggiato, incontrare la sua fine: l’avvento del digitale e della miniaturizzazione porta i sistemi su nastro magnetico verso un rapido e inarrestabile declino. Le poche produzioni industriali ancora attive riguardano unicamente nastri vergini per uso privato.
Supporti musicali: dall’analogico al digitale
Negli anni Ottanta l’avvento delle tecnologie digitali segna un punto di non ritorno nella storia delle tecnologie per la conservazione del sonoro e la distribuzione della musica.
Si passa, cioè, dalla restituzione del flusso sonoro in una “analoga” traccia sinusoidale (analogico) alla trasformazione degli impulsi sonori in un file di dati numerici binari (digitale).
Il cd
Il compact disc nasce nel 1979 come esito di uno studio congiunto fra Sony e Philips. Il cd è un dischetto di materiale plastico di 12 cm di diametro, verniciato di materiale riflettente, su cui è “incisa” un’unica traccia a forma di spirale di sequenze numeriche binarie. Il lettore laser, tramite un processore, trasforma questi bit in numeri, poi decrittati in segnale elettrico, e infine in suono.
Il primo album cd della storia è Eine Alpensinfonie di Richard Strauss (Berliner Philarmoniker, 1981), mentre per il mercato pop il primato spetta a 52nd Street di Billy Joel (Ottobre 1982). Nel 1985, con Brothers in arms dei Dire Straits, tocca al cd singolo, l’omologo digitale del 45 giri e dell’Extended Play di vinile. Dopo un inizio stentato il cd diventa il supporto standard di gran lunga più diffuso al mondo.
I vantaggi del cd sono moltissimi: la compattezza, la possibilità di contenere (sull’unico lato leggibile) fra i 74 e i 100 minuti di musica, l’accesso diretto ai brani e la possibilità di programmarne la sequenza, la funzione di avanti-e-indietro veloce, l’eliminazione del fruscio, e una durata nel tempo potenzialmente infinita (il raggio laser non produce usura meccanica).
Se i cd di prima generazione mostrano ancora la corda su alcuni parametri, i nuovi standard eguagliano la qualità del vinile: parliamo del SACD (Super Audio Cd), del Dvd Audio e del Dual Disc.
Musicassette digitali
Sono stati fatti parecchi tentativi per rimpiazzare le vecchie musicassette magnetiche con supporti digitali equivalenti: tutti gli sforzi sono però andati a vuoto o, nel migliore dei casi, hanno creato mercati di nicchia. La Elcaset è sorta e tramontata nel giro di soli quattro anni (1976-’80); analogo risultato ha patito la più recente DCC (Digital Compact Cassette), del 1992. Il DAT (Digital Audio Tape), nato nel 1987, sembrava promettere bene. Ma gli eccessivi costi dei supporti e dei registratori, e il boicottaggio delle major, lo hanno trasformato in un articolo destinato al solo settore professionale.
Il MiniDisc, infine: stampato su un materiale ferromagnetico, di piccolo formato, capace di contenere sino a 78 minuti di musica, registrabile all’infinito e con un editing molto versatile, ha creato un suo mercato (soprattutto per le registrazioni dal vivo), ma è stato frenato da prezzi troppo alti e da questioni di monopolio.
La duplicazione tecnica
I residui problemi materiali connessi alla duplicazione domestica (la scarsa qualità sonora, il deperimento dei nastri magnetici) sono stati superati verso la metà degli anni Novanta, grazie alla comparsa dei primi masterizzatori casalinghi, dei Cd e Dvd registrabili, e dei personal computer.
Il tempo di copia si riduce drasticamente e la qualità sonora rimane pressoché intatta. Inoltre con una banalissima stampante laser è possibile ottenere una copia fedele della confezione. Una nuova era prende il via: dalla riproduzione tecnica dell’opera d’arte si è giunti cioè alla sua duplicazione tecnica.
Anche i processi di incisione vanno incontro a una rivoluzione. Per produrre un demo di qualità semi-professionale non è più indispensabile rivolgersi a uno studio di registrazione ma, a patto di possedere software adeguati e le necessarie abilità pratiche, si può svolgere gran parte del lavoro fra le mura domestiche (home studio).
I computer odierni, infatti, consentono di rimpiazzare agevolmente funzioni tipiche dello studio classico, come l’effettistica, il mixaggio e il montaggio, per non parlare delle tastiere programmate, capaci di imitare alla perfezione qualsiasi strumento analogico.
Conclusione
Negli ultimi decenni si sono succeduti decine di standard, affermandosi per anni o sparendo dalla produzione nel giro di pochi mesi: ma, in qualsiasi periodo storico, gli elementi che hanno fatto la differenza, sono stati l’insofferenza degli utenti verso il vecchio modello, l’economicità del nuovo arrivato, la standardizzazione industriale, e le operazioni di cartello… Curiosamente, il solo incremento di qualità non si è mai rivelato decisivo.
Il breve elenco appena concluso non può che essere provvisorio e incompleto. Nel momento stesso in cui stiamo scrivendo, nuovi prodotti sono allo studio delle agguerritissime industrie hi-tech, mentre altri stanno inconsapevolmente imboccando la strada dell’obsolescenza.
A cura di Francesco Chiccoconti
Supporti Musicali, Fonti
- Musica e Memoria.it (Internet). Disponibile all’indirizzo: http://www.musicaememoria.com
- Wikipedia (Internet). Disponibile all’indirizzo: https://en.wikipedia.org/wiki/Wikipedia
- ERNESTO ASSANTE, FEDERICO BALLANTI, La musica registrata, Roma, Dino Audino Editore, 2004
- BILL BREWSTER, FRANK BROUGHTON, Last night a DJ saved my life, tr.it., Roma, Arcana, 2007
- PAOLO PRATO, Sociologia della musica registrata dal fonografo a internet, Ancona-Milano, Costa & Nolan, 1999