Black Flag. E se sul ponte sventolasse bandiera nera

Vittorio traccia la storia dei Black Flag e del logo di questa band formato da quattro sbarre verticali nere rappresentanti la bandiera che sventola al vento. Buona lettura su Blog della Musica

Ogni volta che vedo i blackblox in azione penso a come riescano a svilire così tanto lo spirito anti-autorirario e anti-conformista del pensiero anarchico, di cui la bandiera nera è il simbolo. Bandiera nera, Black Flag, questo è il nome scelto da Greg Ginn, chitarrista, fondatore ed unico membro stabile del gruppo di Hermosa beach, California.

Prima di questa esperienza, Greg, insieme al cantante Keith Morris, suonava Panic, poi con l’arrivo di Gary McDaniel, che prende il soprannome di Chuck Dukowski, al basso e Brian Migdol alla batteria fondano il gruppo.

Dopo alcune esperienze negative lo stesso Greg decide di fondare pure una casa discografica, la SST, per la quale incidono l’Ep Nervous Breakdown, numero 001 del catalogo Sst. Siamo nel gennaio 1978, 2000 copie, che però vedranno la luce solo nel febbraio dell’anno successivo. Sono 5 minuti e 10 secondi di musica dura, testi ripieni di feroce sarcasmo che denunciano il senso di isolamento, l’alienazione, la paranoia con cui i ragazzi californiani e quelli di tutto il mondo sono costretti a convivere, gridano al mondo l’angoscia di vivere. E il mondo rispose. Cominciando a far nascere quel culto che oltre alla bandiera nera ha come emblema 4 barrette nere, tatuate su molti corpi di quei ragazzi che rimasero folgorati da quei pochi minuti di musica.

Black Flag è il nome suggerito da Raymond Pettibon, nome d’arte dell’artista disegnatore Raymond Ginn fratello di Greg, che disegna per il gruppo anche il logo, quattro sbarre verticali nere rappresentanti, nelle sue intenzioni, la bandiera che sventola al vento.

Keith lascerà il gruppo e di li a poco darà vita ad un’altra leggenda del punk californiano, i Circle Jerks.

Nessun problema, la costa ovest dell’America da sempre pullula di talenti. Ecco arrivare il portoricano Chavo Pederast, che prende parte alle registrazioni del secondo Ep, Jealous Again (1980). Sono i giorni che il film-documentario di Penelope Spheeris, The Decline Of Western Civilization, renderà immortali.

Altri cambiamenti d’organico sono in vista. Il nuovo cantante viene trovato nell’estate del 1980, Dez Cadena, un fan della band e amico di Chuck, con Dez il gruppo parte per il primo tour nazionale.

Nel 1981 i Black Flag pubblicano un nuovo EP, Six Pack, e il singolo Louie Louie, ma le sue corde vocali sono logore quindi si dedica alla chitarra, senza abbandonare il gruppo, così inizia la ricerca per un nuovo cantante. Ad uno show a New York, un fan sale sul palco per cantare un pezzo, la sua esibizione piace talmente tanto al gruppo, che decidono di fare qualche prova con lui. Henry viene assunto, con il nome di Henry Rollins, e Dez passa alla seconda chitarra.

Copertina del disco dei Black Flag, Damaged

Black Flag, Damaged

Damaged, il disco che consacra i Black Flag

E’ con questa nuova formazione che vedrà la luce Damaged, l’album che consacra la band. Uno dei migliori album mai comparsi su vinile, e non venitemi a parlare di Queen, Genesis, Yes e compagnia cantante. Questo è l’album che tutti dovreste possedere. Ed ascoltare regolarmente almeno una volta alla settimana.

È un lavoro che ti fa apprezzare la vita anche se questa è difficile, per tutti, musicisti compresi. È un lavoro complesso, fatto di chitarre potenti che si stagliano su ritmiche mai banali. È un lavoro in cui le parole sono dure, ma corrette. Il cazzeggio non esiste. Esiste il mondo, e questa è la descrizione che ne da un gruppo di ragazzi prima di diventare definitivamente adulti.

È un lavoro che contiene grandi classici come Rise above o Gimmie Gimmie Gimmie. E poi i due pezzi che danno il titolo all album, Damaged 1Damaged II, grandissimi! Con la chitarra che lambisce territori hendrixiani e il calore del sole californiano che esce dai solchi del disco.

Gli ultimi anni

Black Flag non riescono a godersi il successo del disco, causa beghe discografiche, ma sono e saranno consapevoli di aver realizzato un capolavoro. Intenso è il loro impegno live e la loro costante evoluzione sonora verso lidi, allora, inesplorati. Il loro sound si fa più scuro, più pesante. Ai classici riff punk abbinano giri di basso presi di peso dalle composizioni dei Black Sabbath (sempre di nero si tratta), le canzoni si dilatano alla maniera di quelle degli Hawkwind, i testi saranno sempre più intriganti.

Non a tutti piace questa evoluzione, sia all’interno che all’esterno del gruppo. Perdono fans e la line up del gruppo continua a cambiare. Ma i loro lavori rimangono di altissimo livello. Nel 1986 esce un altro masterwork. È In my Head. Un album che consiglio a tutti di ritrovare, di riascoltare, di riassaporare a distanza di quasi 30 anni. Suona ancora potente, minaccioso, a tratti mistico con quelle incursioni nel freejazz della chitarra di Ginn.

Dopo di che anche la loro bandiera, nera, non sventolerà più in modo cosi convincente.

Rimangono però questi lavori, che per la gioia di tutti, grandi e piccini, sono facilmente reperibili su cd e su tutti i canali convenzionali. Il consiglio è sempre il medesimo. Fateli vostri.

Vittorio

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